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 2013  marzo 13 Mercoledì calendario

IL PROTOGRILLINO CHE SI DIMISE CONTRO I VITALIZI

Roma L’onda del risentimento anti Ca­sta si alza sempre più alta. L’indigna­zione contro gli sprechi si sedimenta nell’immaginario.E i paladini della lot­ta al p­rivilegio si moltiplicano alla ricer­ca del consenso. In questa tumultuosa temperie politica c’è una vicenda uma­na che non viene ricordata a sufficien­za: quella di Enrico Endrich e del suo «gran rifiuto».Una pagina di storia par­lamentare che i lettori del Giornale , in questi giorni di indigestione grillina, a colpi di telefonate e fax (il teramano Maurizio Caruso ha anche inviato una lettera a Giorgio Napolitano) hanno chiesto di rievocare.
Enrico Endrich fu un grande avvoca­to penalista sardo, podestà di Cagliari dal 1928 al 1934 e critico d’arte. Nel 1953 venne eletto alla Camera per il Movimento sociale italiano. Quando l’aula approvò l’introduzione dell’as­segno vitalizio, decise che quell’istitu­to semplicemente non faceva per lui. Prese carta e penna e scrisse al presi­dente della Repubblica, Giovanni Gronchi: «Onorevole presidente, il concedere la pensione a senatori e de­putati equivale ad affermare il princi­pio della professionalità della funzio­ne parlamentare. Poiché non mi sento di accettare tale principio, rassegno le dimissioni».
La Camera respinse la richiesta, con­fidando nelle classiche «dimissioni con l’elastico». «Alcuni parlamentari» racconta la nipote Enrica al Giornale , «se le presero a male e lo rimproveraro­no perché c­on quel gesto avrebbe mes­so gli altri in cattiva luce. Ma lui era per­sona di principi e decise di mantenere fede a quell’impegno». Così, appreso del voto contrario, riscrisse a Gronchi: «Apprendo dai giornali che la Camera ha respinto le mie dimissioni. Ringra­zio ma devo insistere perché vengano accettate. Ossequi». Alla fine nel 1955 la Camera fu costretta a cedere.
Il quotidiano Italia Oggi alcuni anni fa pubblicò una lettera della figlia di Endrich (morto nel 1985) che raccontava il secondo tempo della sua vita poli­tica, a quasi venti anni di distanza dal gran rifiuto. «Nel ’72 in Sardegna l’Msi aveva la possibilità di far eleggere qualcuno solo candidando mio pa­dre » spiegò Anna (sposata con Gianfranco Anedda, ex capo­gruppo di An, sottosegretario e mem­bro laico del Csm). «Quindi io e i miei familiari insistemmo nell’interesse del partito». Endrich accettò e venne eletto, sedendo sui banchi con Antoni­no La Russa (morto nel 2004, ndr ), pa­dre di Ignazio. Che oggi ricorda così quella generazione. «Erano uomini che certo non facevano politica per in­teresse. Endrich era un signore, un ga­lantuomo. È stato in Parlamento con mio padre che ogni mese spendeva il doppio di quel­lo che guadagnava per fi­nanziare le sedi del parti­to in Sicilia.
La «linea» di Endrich sul vitalizio, però, restò granitica e non volle saper­ne di riscuotere quei soldi. «Ricordo - conclude la figlia ­ che dopo il suo decesso ricevetti una telefonata di una funzionaria del Senato che mi chiedeva dove inviare gli arretrati della pensione di reversibi­lità per mia madre, da sempre giacen­ti ». I familiari, allora, inviarono una let­tera all’amministrazione per comuni­care ch­e non li avrebbero riscossi in os­sequio alla volontà del padre. Quella te­stardaggine Endrich, peraltro, non la mise in campo soltanto verso i privilegi della politica ma anche nella sua pro­fessione. «Aveva un concetto forte del­la rinuncia per l’affermazione di un ide­ale - racconta Enrica - così, quando venne nominato un presidente di Cor­te d’Assise che a suo dire non rispetta­va i diritti della difesa, decise di molla­re la toga e non accettare processi in quella sede. Tornò soltanto quando quel presidente fu sostituito». La nipo­te, in questi giorni, ha ultimato le ricer­che su una vicenda dai contorni inediti e dal respiro attualissimo e sta lavoran­do a una sceneggiatura. Il suo sogno è trovare un produttore coraggioso di­sposto a investire in un film che raccon­ti «in una terra poco frequentata dal ci­nema come la nostra Sardegna, la sto­ria di una generazione di politici capa­ce di incarnare ideali e trasmettere principi di onestà ai giovani». Politici che potrebbero tranquillamente entra­re nella trincea vagamente giacobina degli appellativi grillini e fregiarsi a te­sta alta del titolo di «onorevole».