Paolo Bracalini, il Giornale 13/3/2013, 13 marzo 2013
BERSANI CI FA PAGARE I COSTI DEL PD
Roma «Noi siamo prontissimi a rivedere il meccanismo del finanziamento pubblico» promette Bersani, all’angolo del ring. Un modo per contenere i costi del Pd forse l’hanno già trovato, tutto in casa. Basta assegnare ai nuovi parlamentari del Pd il personale del partito, come assistenti e «portaborse», i quali così saranno a carico della Camera dei deputati e non del partito (che ha 200 dipendenti più collaboratori, per almeno 12milioni di spesa). E in effetti il trasbordo sembra già iniziato col disappunto degli assistenti che non essendo anche funzionari di partito, sono prossimi alla trombatura. «I finanziamenti ai partiti si sono ridotti e cercano di contenere i costi anche così - racconta un’assistente che fa parte di Cocoparl, sorta di «sindacato» degli assistenti parlamentari - risulta che a diversi neoparlamentari Pd verranno assegnati collaboratori dalla federazione romana ( cioè il Pd romano, ndr ) e dal nazionale, persone che già collaboravano con loro. E molti di noi perdono il lavoro. Abbiamo spinto perché si facesse una legge sullafigura professionale dell’assistente, ma è stato inutile, possono mandarci a casa da un giorno all’altro». L’ex ministro e sindacalista Cesare Damiano, eletto alla Camera, avrebbe sostituito la sua collaboratrice con una persona del Pd di Torino, e non è un caso isolato.
Il Pd deve però far quadrare i conti anche dei suoi gruppi parlamentari, già in esubero di personale. Anche lì si vuole sfoltire, mandando a casa un po’ di gente. Il Pd alla Camera, dove ha eletto - grazie al premio di maggioranza dell’esecrato Porcellum - ben 292 deputati, avrà a disposizione da Montecitorio circa 13 milioni di euro, come finanziamento al gruppo (ogni anno). Ai senatori Pd arriveranno invece, dalle casse di Palazzo Madama, 5,5milioni di euro, sempre all’anno. Serviranno a pagare un esercito di dipendenti, che tra tagli e new entry dal partito rischia di ripetere quanto accaduto nella legislatura che sta per chiudersi. Il gruppo Pd ha pagato, dal 2008 al 2013, 102 stipendi ad altrettanti collaboratori del gruppo, che hanno inghiottito quasi il 90% delle risorse destinate al gruppo. Centodue dipendenti, per 205 deputati, un dipendente ogni due onorevoli, un record probabilmente.
La pletora è dovuta all’inquadramento di «dipendenti provenienti da vecchi gruppi di Ds e Margherita-ha chiarito l’onorevole Ettore Rosato, tesoriere dei deputati Pd- e da altri gruppi di centrosinistra non più presenti alla Camera». Vuol dire che gli assistenti e le segretarie degli scomparsi gruppi di Rifondazione Comunista o dei Verdi (esempi a caso) sono passati a libro paga del Pd alla Camera.
Al Senato il Pd mantiene la media: 105 senatori, 56 dipendenti, di cui sei giornalisti e 12 a progetto, per 4,8 milioni di spesa in stipendi e contributi, anche qui pari al 90% del bilancio del gruppo Pd alla Camera. Un vero stipendificio. Il resto dei soldi dei gruppi serve a coprire spese telefoniche, missioni e rappresentanza, sito web, convegni. E poi in integrazioni di stipendio per deputati e senatori che ricoprono qualche incarico. L’anno scorso sono stati decurtati, ma restano pari allo stipendio medio di un lavoratore italiano. Leggiamo dal rendiconto del gruppo Pd alla Camera: «I membri dell’ufficio di presidenza e i capigruppo di commissione percepiscono un rimborso forfettario ad integrazione della diaria, in analogia con quanto accade ai membri dell’ufficio di presidenza della Camera e delle commissioni; gli importi vanno da 1.300 euro per il presidente e a scendere sino a 500 euro per i capigruppo di commissione». Ovviamente aggiuntivi rispetto ai circa 12mila euro di compenso mensile.
Ma il vero costo sono i dipendenti. La priorità però è alleggerire il partito, sotto attacco sia interno (la proposta renziana di abolire il finanziamento, il dossier sui costi Pd che ha fatto minacciare querele...) ed esterno, da parte di Grillo. Il vantaggio di scaricare le spese sui gruppi è che il finanziamento a questi non lo vuole abolire nessuno, neppure il M5S, che se non prende i rimborsi elettorali utilizza invece i finanziamenti ai gruppi, a livello regionale e ora anche in Parlamento. Rivedere il finanziamento ai partiti sì forse, ma abolire quello ai gruppi no. Oh ragassi, siam mica qui...