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 2013  marzo 11 Lunedì calendario

SONO DRAGHI E MERKEL I VERI «PILOTI» DELLO SPREAD

Italia senza governo, pro­spettive inesistenti di accor­do tra le parti politiche, tutti contro tutti, economia reale al disastro. E lo spread va giù. C’è qualcosa che non torna. Siamo di nuovo di fronte a un grande imbroglio. Di fronte ad una ma­nipolazione del mercato da par­te dei poteri forti. Che distrugge la democrazia. Una manipola­zione da parte di chi, in Germa­nia, vuole arrivare alle elezioni a settembre con spread bassi, per non passare come chi ha causa­to le turbolenze dei mercati fi­nanziari negli anni della crisi e che con la minaccia dello spread ha fatto il bello e il cattivo tempo. Una manipolazione da parte di chi non vuole perdere né l’egemonia in Europa, dopo averla bramata per un intero se­colo, né la guida del governo del proprio Paese, dopo averne fatti cadere e nascere tanti altri in Eu­ropa. Senza badare alla legitti­mazione democratica. E dopo aver ingerito negli affari di que­sti ultimi. Altro che il risultato in­certo delle elezioni italiane, al­tro che le battute di Beppe Grillo o di Pierluigi Bersani, altro che le malattie o i processi di Silvio Berlusconi. Altro che il sentiero di risanamento dei conti pubbli­ci­e di riforme già segnato dal no­stro Paese. Il pilota automatico c’è e come. Ma non quello che ha inteso Mario Draghi giovedì scorso. Il pilota schiaccia o me­no l’acceleratore dello spread a suo piacimento. E convenienza. Due pesi e due misure. Se il debi­to pubblico italiano veniva de­classato nel 2011 era tutta colpa del governo in carica, gli spread schizzavano a livelli febbrili e la speculazione approfittava del piatto ricco dei nostri titoli di Sta­to. Venerdì Fitch ha tagliato il ra­ting dell’Italia, che è scivolato a BBB+ da A-, con outlook negati­vo, vale a dire a pochi passi dal li­vello «spazzatura», ma questo «non influenzerà i mercati» (Jim O’Neill,presidente di Gold­man Sachs asset management) e, comunque, «non ci sarà una rapida risalita dello spread, sal­vo che Grillo o Berlusconi non arrivino a pesare davvero sul go­verno italiano » (Nouriel Roubi­ni). Il pregiudizio è evidente. E se la causa del downgrade da parte di Fitch è «il risultato poco chiaro delle elezioni italiane del 24-25 febbraio», per il Tesoro «l’incertezza è parte della demo­crazia ».
A dire il vero, il downgrade di Fitch sull’Italia è arrivato anche troppo tardi.E non solo per l’esi­to delle elezioni. I motivi sono tre: 1) lo stallo post-elettorale; 2) la crescita del Pil prevista a -1,8%nel 2013 (cioè 9 volte supe­riore a quel- 0,2% riportato nella Nota di aggiornamento del Def presentata dal Mario Monti il 20 settembre 2012); 3) il debito che raggiungerà il picco del 130% ri­spetto al Pil (127,1%).
Quanto al primo punto: è il ri­sultato della turbolenza del do­po elezioni generata dal com­portamento ambiguo di Pierlui­gi Bersani. Cosa dobbiamo an­cora aspettare per dare una ri­sposta forte ai mercati? Quale al­tro insulto vuole ricevere il segre­tario del Partito Democratico da Beppe Grillo per comportar­si in maniera seria nei confronti di chi le elezioni di fatto le ha vin­te, o no, alla stessa maniera del­la sua formazione? Quanto agli altri 2 punti: sono gli effetti della politica economica sbagliata ap­plicata dal governo Monti, che ha finito per vanificare tutti gli sforzi compiuti dai cittadini. Fi­tch aveva già declassato l’Italia da AA- ad A+ il 7 ottobre 2011 e da A+ ad A- (2 gradini) il 27 gen­naio 2012. Più o meno lo stesso percorso è stato seguito da Moo­dy’s. Più cauta, invece, Stan­dard& Poor’s che ha conferma­to: «Indipendentemente dalla composizione del prossimo go­verno, il consolidamento fiscale non si allontanerà dal suo per­corso attuale ».Insomma,al con­trario di quanto avvenuto nel 2011, i mercati sono tranquilli. Più che il pilota automatico del­le riforme (in gran parte fallite) in Italia, sembra esserci in Euro­pa un’attitudine ad attenuare l’irresponsabilità della sinistra. Come c’era un’opposta attitudi­ne a colpire le difficoltà di gover­no del centrodestra nell’estate 2011.
Oggi l’Italia è in piena crisi isti­tuzionale eppure, dopo qual­che giorno di fibrillazione, ve­nerdì la Borsa di Milano ha chiu­so a + 1,61% e lo spread a 306 pun­ti base. Forse il pilota automati­co vuole creare le condizioni per un esecutivo Bersani, che tenga assolutamente fuori il lea­der della coalizione di centrode­stra. Costi quel che costi.
Per tutta la fase iniziale della crisi, il pilota automatico ha avu­to un nome solo: Angela Merkel. Che ha usato lo spread per far ca­dere, nascere o proteggere que­sto o quell’altro governo. Ricor­diamo tutti le telefonate al Colle più alto e, ancor prima, la vendi­ta di titoli del nostro debito pub­blico da parte di Deutsche Bank, che ha spinto le istituzio­ni­finanziarie degli altri Stati a fa­re lo stesso. Risultato: panico sui mercati e aumento della doman­da di Bund tedeschi, considera­ti l’unico bene rifugio in Europa.
È stato così che lo spread tra i tito­li della Germania e quelli equiva­lenti emessi dagli altri Paesi eu­ropei è aumentato vorticosa­mente.
Tutto questo è continuato fi­no al 24 luglio 2012, quando, a se­guito di voci sempre più insisten­ti dell’uscita della Grecia dalla moneta unica, la Bce è dovuta in­tervenire. Anche in questo caso, ricordiamo tutti l’impegno di Draghi, a fare «tutto il necessa­rio per salvare l’euro». Il com­promesso è stato trovato il 6 set­tembre, quando la Bce ha an­nunciato il programma di acqui­sti di titoli di Stato con vita resi­dua fino a 3 anni del debito so­vrano dei Paesi sotto attacco spe­culativo, previa sottoscrizione ­ed è questo il punto - di un pro­gramma di consolidamento dei conti pubblici e di riforme. Si è creato così un equilibrio, tra Ger­mania e banca centrale, per la governance europea, che ha portato ad un abbassamento de­gli spread.
Germania e Bce, di fatto, sono le uniche ad avere le redini della situazione nell’eurozona. Ecco il pilota automatico! Tanto più che gli altri strumenti, di compe­tenza di Commissione e Consi­glio Ue, per far fronte alla crisi della moneta unica, sono bloc­cati. Lo stesso dicasi del Mecca­nismo europeo di stabilità. In al­tre parole, i nostri governi sem­brano non giudicati per quello che fanno sulla base dei loro pro­grammi, ma per come sono ac­cettati o meno dai poteri forti dell’Europa del nord.Agli amici (di sinistra) si dà comprensio­ne, contro i nemici (di centrode­stra) si scatenano le bufere. Fino a quando questa sospensione della nostra vita democratica?
Si mettano da parte gli insulti, si confrontino in maniera i pro­grammi dei partiti e si evidenzi­no di un verde acceso le parti co­muni ( sulla riduzione della spe­sa pubblica; del debito; della pressione fiscale; sui costi della politica; sulla riorganizzazione della macchina dello Stato sia­mo tutti d’accordo) e di un ver­de più chiaro quelle su cui po­trebbe esserci convergenza ( leg­ge elettorale, riforma delle istitu­zioni). Si cominci dai punti in co­mune per dare un governo e sta­bilità al Paese. Che ne ha biso­gno per dare una risposta alle ur­la di dolore che vengono dal­l’economia reale e per mettere in sicurezza i conti pubblici.Per­ch­é in un’economia che non cre­sce il pareggio di bilancio serve a poco. E costa tantissimo, sia in termini finanziari, sia dal punto di vista sociale. Non possiamo non arrivare uniti e forti alla sca­denza del Doc­umento di Econo­mia e Finanza che il Parlamento dovrà approvare entro il 30 apri­le. Purché ci sia un governo in ca­rica. Come sempre, al presiden­te della Repubblica, Giorgio Na­politano, il compito di far rispet­tare la Costituzione.