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 2013  marzo 14 Giovedì calendario

LE SUE BATTAGLIE CONTRO IL RADICALISMO

Da Buenos Aires a Rosario, da Santa Fé a Mendoza, l’Argentina è scesa in piazza per festeggiare il primo Papa sudameri­cano nella storia della Chiesa. Il nuovo Papa gesuita ha fatto gioire soprattutto quell’ampia parte di cattolici di origine italiana che si iden­tificano nel suo difficile passato di immigrato. L’Argentina è un Paese simbolo della crisi in cui si dibattono da sempre molte nazioni dell’A­merica Latina, il continente che ha la maggior concentrazione di cattolici del mondo (circa il 45%). Nonostante la crescita del Prodotto in­terno lordo di alcuni Paesi e il boom economico brasiliano, l’Argentina del nuovo Pontefice è vit­tima, come il Venezuela del defunto coman­dante Chávez o la Bolivia di Evo Morales, di un populismo ancora pericoloso non solo per lo Stato di diritto, ma per la stabilità economica. Il Paese, che si era parzialmente ripreso dalla bancarotta del 2001 durante la presidenza di Nestor Kirchner, marito defunto dell’attuale ca­po del governo Cristina Kirchner, con l’arrivo della recessione mondiale è di nuovo piomba­to nella crisi economica nonostante i dati uffi­ciali mostrino un successo dietro l’altro. Due sono i fattori più preoccupanti: l’enorme debi­to internazionale, che sfiora gli 80 miliardi di euro ed è pari quasi al 50% del Pil (prodotto interno lordo); e il tasso di inflazione, che per il governo è contenuto appena sopra il 10% ma secondo gli organi internazionali supera il 25%. Il popolo aveva scelto Cristina Kirchner come prima signora d’Argentina al posto del marito Néstor per risollevare il Paese dal crack del 2001, dopo che gli ex presidenti liberisti Carlos Saul Menem e Fernando de la Rua avevano – se­condo lei –, «privatizzato tutte le aziende dello Stato a prezzo di saldo». Ancora più radicale del defunto compagno (mancato nel 2010 e presi­dente fino al 2007), la primera dama ha dimo­strato una forte ostinazione e una certo attac­camento al potere, potere che cerca di esercita­re sempre facendo leva sul tracotante naziona­lismo argentino. Per la sua guerra alle multinazionali e agli ’in­vasori stranieri’, dalla nazionalizzazione delle compagnia petrolifera Repsol alla disputa con gli inglesi sulle isole Falkland, la Signora Cristina ha speso ed è disposta a spendere fiumi di pe­sos. «Dobbiamo difendere il nostro Paese, ma soprattutto la nostra dignità di argentini e su­damericani », ammonisce in ogni occasione. Se necessario, in nome della dignità nazionale, la presidente è disposta anche a bluffare. Sia sui conti pubblici sia sulla reale salute economica del Paese.
La bugia più grossa della Casa Rosada (il Qui­rinale di Buenos Aires) è quella che riguarda proprio l’indice dell’inflazione. A detta del go­verno, il 2012 si è chiuso con l’inflazione pari al 10,8%. Ma, da mesi, gli istituti di ricerca pri­vati e stranieri la indicano attorno al 25%, per alcuni addirittura al 30%: la più alta dell’Ame­rica Latina. Poi c’è il Prodotto interno lordo (Pil), che in 10 anni, dal default del 2001, è ri­salito di oltre il 90% (il doppio del Brasile).
In questo quadro, la povertà ha continuato ad essere, soprattutto per la Chiesa cattolica, una preoccupazione fondamentale. Secondo gli or­ganismi internazionali i poveri oggi ancora rap­presentano circa il 30% della popolazione ar­gentina, ma sono meno del 9%, secondo il go­verno. Per la sua battaglia contro le disugua­glianze sociali e contro «la corruzione e il mal­costume politico che rappresentano uno schiaffo contro la povera gente», il cardinale Bergoglio si è attirato più volte le ire della Ca­sa Rosada. Anche per questo, la relazione della famiglia Kirchner con la Chiesa cattolica è sta­ta contrassegnata da momenti di forte tensio­ne.
Il defunto Néstor arrivò a puntare il dito con­tro l’allora cardinale e arcivescovo di Buenos Ai­res incolpando «di essere il vero rappresentan­te dell’opposizione». Con la «primera dama» i rapporti raggiunsero l’apice della tensione a cau­sa della legge che permette i matrimoni omo­sessuali. Il cardinale fu allora il più ostinato op­positore al progetto che, nonostante gli sforzi di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, di­venne successivamente realtà.
Altri forti contrasti si ebbero poco dopo l’ele­zione di Néstor Kirchner, nel 2003. Dopo ap­pena due anni, il ministro della Sanità Ginés González García dichiarò il suo incondiziona­to appoggio alla legalizzazione dell’aborto. Per il nuovo Pontefice, fu un’altra battaglia diffici­le. Néstor Kirchner non appoggiò né criticò il sostegno manifestato dal ministro e, successi­vamente, sotto forte pressione, affermò che la legge dell’aborto non sarebbe stata alterata du­rante il suo mandato. Sembrava una battaglia finalmente vinta. La Chiesa cattolica ebbe precise garanzie anche successivamente, dalla presidente Kirchner, che durante la campagna elettorale del 2007 si di­chiarò contro l’aborto. Per poi, però, aprire la strada a un’inversione di marcia. «Non credo che chi vuole la depenalizzazione dell’aborto ne sia a favore: questa sarebbe una semplificazione»,