Fabrizio d’Esposito, il Fatto Quotidiano 11/3/2013, 11 marzo 2013
DIGIUNI E FAIDE DEI CARDINALI “SOTTO CHIAVE”
Celestino IV, non V (quello del gran rifiuto), fu il primo romano pontefice eletto formalmente in un conclave. Era la fine di ottobre del 1241 e i cardinali erano rinchiusi da agosto nel Septizonio, sul Palatino a Roma. Un complesso dell’età neroniana trasformato in case e prigioni. Gli eredi del collegio degli apostoli furono sequestrati in quel luogo per ordine del senatore Matteo Rosso Orsini. Prigionieri. Affamati e in penose condizioni igieniche dovute al caldo insopportabile. Gli illustri prigionieri erano addirittura torturati da “guardiani beffardi e violenti”. Sul conclave premevano le ambizioni di Federico II di Svevia, ma i dieci cardinali non riuscivano a trovare un accordo, lontani dal quorum dei due terzi già in vigore allora. Uno degli anziani principi della Chiesa, un inglese, morì durante la clausura. Il 25 ottobre arrivò finalmente l’elezione. Goffredo Castiglioni assunse il nome di Celestino IV, un papa di mediazione. Ma gli stenti patiti nella prigionia del Septizonio gli furono fatali. Volò dal Padre Celeste dopo due settimane. Nel frattempo tutti gli altri cardinali, spaventati dall’orrore vissuto, erano fuggiti da Roma.
Clausura Tutti a pane e acqua
Un altro conclave dalle condizioni proibitive fu quello, famoso, di Viterbo. Iniziò nel 1268 e durò due anni e nove mesi. I cardinali furono murati e il cibo venne fatto passare per un’apertura sul tetto. Fu così che le regole per la reclusione del conclave vennero affrontate in modo organico da Gregorio X nel 1275, che fece approvare dal concilio Lionese II la costituzione Ubi Periculum. La costituzione “non ricatta i cardinali con condizioni troppo dure di vita nel seggio, ma impone la vita comune durante gli scrutini. Regola la dieta degli elettori in una progressione di austerità (per cui, trascorsi tre giorni in cui vengono nutriti in modo ordinario, si passa a un pasto al giorno per cinque altri giorni, per poi ridurli al digiuno a pane e acqua), ma impedisce di torturarli con la fame. Agli elettori viene limitata la possibilità di consultazione e di corrispondenza con l’esterno, col che viene bloccata la possibilità di manovre finanziarie private”. La lunga spiegazione della Ubi Periculum è di Alberto Melloni, storico del cristianesimo che dopo le dimissioni di Benedetto XVI ha aggiornato per i tipi del Mulino “Il conclave. Storia dell’elezione del Papa”, scritto nel 2001. In duecento pagine, Melloni tratteggia la nascita e l’evoluzione del conclave, l’elezione più affascinante e segreta della storia scaturita da un atto d’arbitrio del “popolo”, esasperato dal perenne interesse a rinviare dei cardinali. Clausura sotto chiave, cum clave. In una sola parola, conclave.
Donne Quando votavano anche loro
Prima dell’istituzione del conclave, racconta Melloni che per otto secoli l’elezione del papa non viene mai descritta nel solenne Liber pontificalis, il libro ufficiale dei papi, e la prima votazione menzionata risale al 731 e riguarda il siro Gregorio III. Nell’867, Adriano II è “l’ultimo papa eletto da tutti, incluse le donne”. L’influenza dei franchi ha “comportato una crescente laicizzazione della corte pontificia” e lo scontro sul peso dei laici è lo scontro tra papato e impero. Politica e religione, una questione millenaria. E al centro di tutto , anche se la sede di elezione è variabile, non fissa, c’è Roma, con “il suo tessuto di relazioni, i suoi rapporti di forza, le sue capacità di scambio a vasto raggio”. La svolta arriva poco dopo l’anno mille, contemporaneamente alla rottura della “comunione” tra Oriente e Occidente, tra Roma e Costantinopoli nel 1054. Accade quando un gruppo di riformatori monastici propone la soluzione “tedesca” per l’elezione del pontefice. Per arginare i poteri esterni, papa Nicolò II promulga nel 1059 il decreto In nomine Domini che individua gli unici elettori nei vescovi-cardinali, gli eredi del collegio degli apostoli. Inizia una storia di altri mille anni, che tre secoli dopo passa per lo scisma e per la “cattività avignonese”, quando la corte pontificia viene trasferita in Francia. È l’epoca di due papi sul trono di Pietro. La rottura dell’unità.
Hitler Il Führer lo definì il congegno ideale
Nell’arco di un millennio il conclave diventa un congegno che ogni papa, dopo la sua elezione, mette a punto con regole che definiscono ogni minimo dettaglio. L’incubo è evitare ogni ingerenza del concilio e ancora oggi la costituzione vieta che l’elezione del papa venga fatta da un concilio ecumenico o dal sinodo dei vescovi. Quando nel 1939, il cardinale Pacelli viene eletto in una sola giornata e prende il nome di Pio XII, il conclave appare “addirittura un modello d’efficienza: pochi mesi dopo Adolf Hitler s’interroga sui meccanismi di successione in una dittatura e sostiene che quello del conclave è un congegno da imitare”.
Veto Il diritto delle potenze straniere
Nel 1562, Pio IV limita a quattro i sistemi elettorali ammessi: “L’ispirazione come atto d’acclamazione straordinario; il compromesso che delega la scelta ad un numero ristrettp di cardinali grandi elettori; lo scrutinio che prevede la votazione fino al conseguimento della maggioranza canonica; l’accesso che permette a ogni cardinale che lo voglia, al termine di uno scrutinio, di rivotare ed accedere a un candidato che risulta essere eletto se raggiunge il quorum prescritto contando anche questi nuovi voti”. Nel 1586, Si-sto V mette il invece una soglia al numero dei cardinali: settanta. Ma la caratteristica più incisiva, che resiste fino all’inizio del Novecento, è la cosiddetta “esclusiva”, cioè il diritto di veto contro un candidato. Sull’esclusiva si concentrano interessi e mire delle potenze straniere tramite i propri cardinali e uno dei casi più clamorosi è il conclave che si apre il 31 luglio 1903 per eleggere il successore di Leone XIII. “Tutti sanno che la Francia punta, dopo Leone XIII, ad un papato di conciliazione espresso dalla figura del cardinale segretario di Stato, Mariano Rampolla del Tindaro”. Ma il Corriere della Sera, quando il papa è ancora in agonia, anticipa che Austria e Germania sono decise a porre il veto contro Rampolla. Il 20 luglio, il giorno della morte di Leone XIII, l’indiscrezione viene confermata: “Due ore dopo il decesso del pontefice un telegramma informa l’ambasciatore asburgico presso la santa Sede che contro Rampolla si dovrà portare l’esclusiva nell’eventualità e nel caso estremo”. A beneficiarne è il patriarca di Venezia, Giuseppe Sarto, eletto il 4 agosto e che prende il nome di Pio X.
Roncalli “Il mio povero nome ritorna in alto”
La prima volta che un papa è stato definito di transizione è stato con Giovanni XXIII nel 1958. Fu un ambasciatore italiano, Mameli, che già nel 1954 coniò il termine in un rapporto segreto al ministro dc Piccioni sulla successione a Pio XII: “Per un papa più giovane, specie nell’attuale composizione del Sacro Collegio, le simpatie sembrano minori. Un papa più vecchio potrebbe riuscire meglio accetto, specie se prevalesse l’idea d’un pontificato di transizione”. Roncalli venne eletto papa il 28 ottobre 1958. Dai suoi diari: “Al IX e X scrutinio il mio povero nome ritorna in alto. Non credetti bene discendere a desinare coi cardinali. Mangiai in camera. Seguì un breve riposo e un grande abbandono. All’XI scrutinio, eccomi nominato papa”. Nel 1978, l’anno dei due conclavi (Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II), nessuno riuscì a prevedere l’elezione di un papa straniero, il polacco Karol Wojtyla. Ma i segnali c’erano stati, non colti. Soprattutto da parte della delegazione tedesca. Prima l’auspicio per un pontefice non italiano. Poi un documento collegiale dei porporati teutonici contro il marxismo. A scriverlo un teologo di nome Joseph Ratzinger.
Karol Woityla arriva all’aeroporto di Roma per il conclave del 1978. Sopra Giovanni Paolo XXIII Ansa