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 2013  marzo 13 Mercoledì calendario

I PERCORSI PARALLELI DELL’ITALIA E DELLA GERMANIA

Mi sembra di avere letto, anni fa, che nel dopoguerra l’Italia optò per la continuità dello Stato, mentre in Germania si preferì una discontinuità con il precedente Reich nazista formando un nuovo Stato. Potrebbe dirmi se il mio ricordo è corretto e quali siano state le implicazioni sul piano giuridico di queste diverse scelte?
Roberto Macchia
Livorno
Caro Macchia, il crollo di un regime politico non comporta necessariamente la creazione di uno Stato nuovo. L’Italia divenne Repubblica, creò nuove istituzioni, iscrisse fra le disposizioni transitorie della sua Carta il divieto d’ingresso nel territorio nazionale di coloro che avrebbero potuto aspirare al trono. Ma ereditò istituzioni create durante il fascismo nello stesso modo in cui il fascismo aveva ereditato quelle create prima del suo avvento al potere.
Alla continuità di molte istituzioni corrispose la continuità del personale amministrativo, giudiziario, diplomatico, militare. Dopo qualche parziale epurazione ritornarono in servizio gli stessi prefetti, questori, ambasciatori, magistrati, generali, ammiragli che avevano esercitato le loro funzioni durante il fascismo o addirittura, nel caso dei più vecchi, prima del 1926,vale a dire dell’anno in cui Mussolini creò il suo regime. Lo stesso accadde per la classe dirigente economica del Paese. Gli imprenditori continuarono a gestire le loro imprese e le banche, divenute pubbliche dopo il salvataggio degli anni Trenta, conservarono il loro personale dirigente. Rimasero in vigore, in buona parte, anche le leggi approvate durante il regime, fra cui le norme di pubblica sicurezza e il codice penale voluti da Alfredo Rocco, lo studioso che aveva maggiormente contribuito a gettare le basi giuridiche della dittatura mussoliniana. La continuità, in altre parole, fu molto più importante della discontinuità: un segno di quanto l’Italia sia fondamentalmente conservatrice e difficilmente riformabile.
Nel caso della Germania i mutamenti furono più numerosi. Il regime nazista era stato molto più totalitario del regime fascista e il suo crollo aveva lasciato voragini che occorreva riempire. Mentre l’Italia riconquistò l’indipendenza dopo la firma del Trattato di pace nel 1947, la Germania continuò a essere occupata dalle potenze vincitrici e divenne il principale teatro di un conflitto incruento (la Guerra Fredda) che sarebbe durato sino alla fine degli anni Ottanta. In questo clima gli alleati occidentali favorirono la nascita di uno Stato democratico e l’Urss di una democrazia popolare governata dal Partito comunista e presidiata dall’Armata Rossa. A un grande leader tedesco, Konrad Adenauer, l’esistenza di due Stati tedeschi parve addirittura rispecchiare la reale natura di un Paese in cui i territori occidentali e quelli orientali, a suo giudizio, avevano seguito, nel corso della storia, percorsi politici e religiosi alquanto diversi. Ma non appena fu chiaro che lo Stato comunista non sarebbe sopravvissuto alla crisi della sua casa madre, un coraggioso cancelliere, Helmut Kohl, realizzò una unificazione che a molti parve annessione e ricordò la grande impresa di Bismarck nel 1870. Anche nel caso della Germania, quindi, la continuità, in ultima analisi, prevale sulla discontinuità. Ma con una capacità di rinnovamento e di autoriforme che la rendono molto più moderna e dinamica di un’Italia in cui continuità è ormai sinonimo di senescenza.
Sergio Romano