Armando Torno, Corriere della Sera 13/03/2013, 13 marzo 2013
LA REGOLA DELLE VOTAZIONI: PORPORATI IN SILENZIO
Ieri piazza San Pietro sembrava un laboratorio di suoni. Accanto e sotto il Colonnato del Bernini, i rumori del mondo si erano dati appuntamento favoriti dalla pioggia intermittente. Di contro, nei sacri palazzi, le cerimonie si svolgevano con le loro note. In particolare l’inno Veni Creator Spiritus, che ha accompagnato la processione dei cardinali dalla Cappella Paolina alla Sistina, ha rappresentato la parte sublime. Ma il Conclave si svolge in silenzio.
Parrà un paradosso, ma durante le votazioni i porporati non parlano. Gli unici suoni ammessi nella Sistina sono le parole della formula di giuramento — pronunciata in latino, è proferita prima di deporre la scheda nell’urna che si trova sull’altare, sotto Il Giudizio Universale di Michelangelo — e la lettura delle schede votate, oltre le preghiere. Già, il giuramento. Traduciamolo: «Chiamo a testimone Cristo Signore, il quale mi giudicherà, che il mio voto è dato a colui che, secondo Dio, ritengo debba essere eletto».
Una votazione senza scambi vocali è inusuale per le nostre abitudini politiche. Le Camere italiane non riescono nemmeno a immaginarla; inoltre, ci sembra impossibile renderla effettiva anche in quelle assemblee internazionali dove si discutono i problemi del mondo. Il dibattito delle idee ha bisogno di voci, o quanto meno di rumori. I cardinali nella Sistina, prediligendo il silenzio, praticano una scelta intima, solitaria, assistita soltanto dallo Spirito invocato. Proviamo a immaginarli in una votazione: ognuno di loro ha una scheda rettangolare sulle quale c’è scritto: «Eligo in Summum Ponteficem»; sotto dovranno aggiungere il nome del prescelto. Ogni porporato opera in segreto. Poi si incammina verso l’altare tenendo in vista il foglietto piegato in due parti, anzi di solito lo alza; quindi lo pone su un piatto e, pronunciato il giuramento, lo infila nell’urna.
Gli scrutatori che interrompono quel silenzio durante lo spoglio sono tre (uno solo legge) e vengono estratti a sorte fra gli elettori, in quella fase chiamata antescrutinium, prima della distribuzione delle stesse schede. Anche nei giorni in cui, come oggi, si vota — eventualmente — quattro volte, quel silenzio continua. È una disciplina che caratterizza le operazioni di voto, non certo il momento dei pasti e dei trasferimenti. In tal caso le loro eminenze possono proseguire i discorsi cominciati, e forse non conclusi, durante le congregazioni generali.
Il silenzio rende solenne la scelta; si ricollega alle grandi tradizioni del cristianesimo, dalle pratiche della vita monastica al distacco dal mondo degli anacoreti o dei penitenti vissuto nei deserti. I mistici hanno sovente notato che Dio è permeato da silenzio e che gli angeli si scambiano le loro parole senza turbarlo, a differenza degli spiriti malvagi che necessitano del rumore (mirabili le pagine del gesuita Francisco Suárez, mente della Seconda Scolastica, su tali questioni); in silenzio Dio si incarna e Giovanni della Croce in una sua Massima rivela: «L’Eterno Padre proferì una sola parola, cioè il Figlio suo, e tale parola la annuncia sempre in eterno silenzio». Si può continuare sino a perdersi, ché di esempi se ne possono avere a iosa, da Gesù che tace dinanzi a Pilato, a Benedetto che considera la quiete dei suoni bene indispensabile, da Agostino che parla di gioia per l’ascolto silenzioso, a Gregorio di Nazianzo che lo vede come un modo per avvicinarsi a Dio. Un nome scritto e pensato in silenzio, insomma, è più credibile.
Armando Torno