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 2013  marzo 13 Mercoledì calendario

IL DIAVOLO IN CHIESA


Maggio 1981, Vaticano. Angelo Battisti lo sa bene. Occorre essere pazienti e forti in ogni circostanza della vita. Gliel’ha insegnato il suo grande amico e confidente Padre Pio da Pietrelcina. E gliel’ha insegnato bene anche l’altra figura che, gioco forza, è divenuta importante nella sua esistenza: il cardinale Agostino Casaroli, Segretario di stato vaticano.
È l’ultimo giorno di lavoro di Angelo alle dipendenze di Casaroli. Il cardinale lo vuole salutare prima del congedo. In una nobile stanza del palazzo apostolico — drappeggi rossi, poltrone di velluto e un grande soffice tappeto — sua eminenza non tarda a prendere la parola.
«Angelo, io vorrei che uscendo di qui lei non dimenticasse che è con gratitudine che il Vaticano la manda in pensione ».
«Eminenza, non mi deve ringraziare. Io ho soltanto cercato di fare il mio dovere al meglio».
«Non la ringrazio solo per il suo lavoro. Ma anche per la discrezione che ha mantenuto in questi anni. So che conosce molte cose di Padre Pio. So che è stato un intermediario importante tra lui e il Santo Padre. E ho apprezzato molto che in questi anni lei abbia mantenuto ogni cosa per sé. Per noi, per me, la discrezione e il silenzio valgono molto».
Angelo saluta il suo superiore e pensa agli anni trascorsi in Vaticano. A quando, nel 1962, gli toccò fare la spola fra Roma e San Giovanni Rotondo per conto di monsignor Karol Wojtyla, allora semplice vescovo ausiliare di Cracovia. Un’amica d’infanzia del futuro Papa, infatti, Wanda Poltawska, era seriamente ammalata. Wojtyla scrisse una lettera a Padre Pio chiedendogli preghiere. Mandò la lettera a un cardinale italiano il quale chiese ad Angelo di portarla a San Giovanni Rotondo.
«Angiolino, a questo non si può dire di no», gli disse il frate quando ricevette la lettera. E, infatti, la missiva non rimase senza risposta. Di lì a poco la Poltawska guarì completamente e inspiegabilmente. Angelo non comprendeva perché Padre Pio stimasse tanto Wojtyla. «Chi è questo monsignore?», si chiedeva incredulo. Solo nell’ottobre del 1978 capì ogni cosa. Padre Pio, evidentemente, aveva intuito con chi aveva a che fare, chi era quel vescovo ausiliare che gli aveva scritto chiedendogli aiuto. Era il futuro Papa: Wojtyla, dopo la morte di Albino Luciani, divenne Giovanni Paolo II.
Angelo scende per l’ultima volta le scale del palazzo apostolico. Percorre il cortile del Belvedere senza voltarsi. La visita alla chiesa di Sant’Anna, in prossimità dell’uscita, è l’ultima tappa. Passano soltanto cinque minuti. Poi Angelo esce dalla chiesa. Esce, ma non è più se stesso. Ha il viso scuro, provato, come se una brutta notizia fosse arrivata improvvisa a oscurare una giornata di sole.
Cosa è successo in quella chiesa? Cosa è accaduto?
Certe cose non si possono spiegare. Certe cose accadono e basta. E uno ci si trova dentro senza conoscerne il motivo. La differenza qui sta nel fatto che Angelo, in questa cosa, non ci si trova semplicemente dentro. Semmai è questa cosa a essere dentro di lui. È lì, senza dubbio alcuno, dentro di lui.
Muta ma viva.
Silente ma attiva.
E la prima azione che gli ordina di compiere è chiara e decisa: «Scappa da qui!».
Angelo arriva a casa rabbuiato. Per festeggiare la pensione, Dora, sua moglie, gli ha preparato una cena coi fiocchi. Ma lui non mangia. Va diritto nel letto. Non si addormenta però. Resta lì, tutta la notte sotto le coperte con gli occhi sbarrati al soffitto. È quel buio che poche ore prima l’ha investito nella piccola chiesa di Sant’Anna ad avvolgerlo ancora e a martellargli nelle tempie: «Non lo sai? Ora sei mio».
Il dottor Fabrizi, medico di casa Battisti, rimane per qualche istante in silenzio. È pensieroso e preoccupato. In vita sua ha visitato tanta gente. Ha imparato che la mente umana è un grande mistero entro il quale occorre entrare coi piedi di piombo. E anche con molta umiltà. Su Angelo non osa dire nulla, perché non sa cosa dire. Il cambiamento della personalità dell’uomo avvenuto in così poco tempo lo sconcerta e lo inquieta. E non ha risposte certe da dare.
Padre Candido Amantini, (esorcista della diocesi di Roma, maestro di padre Gabriele Amorth ndr) conosce Angelo da anni. Saputo del suo cambiamento, gli fa visita più volte. Ma Angelo non si apre, non si confida. Anzi, finché c’è padre Candido in casa si comporta normalmente. Appena l’esorcista esce, torna nel suo buio. Una mattina padre Candido si presenta in casa senza preavviso. Tutto è in disordine. Angelo, in uno dei suoi raptus d’ira sempre più frequenti, ha sfasciato mobili, suppellettili. La stanza da letto è quella meno danneggiata. Ma qui lo spettacolo terrificante è Angelo. Sdraiato sul letto, stringe la statua di san Michele arcangelo. Dalla sua bocca esce un lamento indecifrabile. È bianco in viso, la barba sfatta, i vestiti sporchi. Non si è accorto di padre Candido che, improvvisamente, alza la voce.
«Eccoti finalmente! Dopo tanto tempo riesco a incontrarti. Chi sei?». Angelo apre gli occhi. Questa volta non è ossequioso, gentile, delicato. Adesso, infatti, chi vive dentro di lui non può più simulare. E inizia a ridere, prima sommessamente, poi di gusto. Ride in faccia a padre Candido che nel frattempo impugna una croce e indossa una lunga stola viola. Le sue armi, le sue difese, i suoi fendenti.
Angelo ride e poi di colpo vomita un’enorme quantità di poltiglia verde. La vomita addosso a padre Candido che non arretra. Anzi avanza. Appoggia la croce sul petto di Angelo che trema, ora immobile, come inchiodato, sopra il proprio letto.
Padre Candido è convinto: Angelo è posseduto, eppure non riesce a liberarlo. D’improvviso però, dopo anni di esorcismi senza esito, tutto cambia. Dora, ormai rassegnata a una vita di dolore, invita Angelo ad andare a fare visita a un noto esorcista toscano, padre Angelo Fantoni. Angelo accetta. Rimane da lui un mese. Per trenta giorni Dora non sa nulla di lui. Angelo non chiama, non si fa sentire.
Cosa accade in quei giorni? Angelo non lo rivelerà mai. Eppure è in quel mese che colui che è dentro il corpo di Angelo se ne va, sparisce, lasciandolo completamente libero.
Al ritorno a Roma Dora piange. Abbraccia il marito, chiama padre Candido e ricomincia finalmente una nuova vita. Angelo morirà dopo poco tempo.
Perché il prete toscano è riuscito a liberarlo? «Non ci sono risposte — dice padre Amorth — Ogni possessione è un caso a sé. E la liberazione un dono di Dio. Questa possessione, in particolare, è stato un caso unico, inspiegabile nella sua genesi. Non ho più avuto a che fare con una cosa simile. È stato in assoluto il caso più difficile della mia carriera d’esorcista».