Piero Ignazi, la Repubblica 13/3/2013, 13 marzo 2013
PATTI IMPOSSIBILI CON QUESTA DESTRA
L’IMMAGINAZIONE al potere è stato il bellissimo slogan di una stagione felice e solare, quella di fine anni Sessanta, quando in Occidente lo sviluppo e il benessere sembravano non finire mai. In questi giorni è tornato in auge, grazie al Movimento 5 Stelle. Ogni giorno che passa i neoeletti del M5S aggiungono un tassello tra il fantasioso e il surreale alla loro visione della politica nazionale.
Mentre nel passato i partecipanti ai vari Meetup grillini si ingegnavano per risolvere i problemi della comunità dove vivevano offrendo proposte innovative ed anche brillanti, ora, approdati alla grande politica, sembrano essere partiti per la tangente. Il loro celebrato e benemerito pragmatismo, fatto di piccoli passi ed azioni concrete, sta cedendo il passo al settarismo: tutti i politici sono dei farabutti, i giornalisti un branco di lupi famelici, e solo loro si considerano puri e indomiti. Se così fosse avrebbero ragione coloro che dipingevano il M5S come un movimento populista, che divide il mondo in bianco e nero e in buoni e cattivi, e dove il Capo ha sempre ragione. L’atteggiamento anti-establishment di questi giorni sta infatti oscurando l’altro côté identificativo del Movimento, quello ecologista- alternativo, paragonabile ai Verdi tedeschi degli inizi. Anche allora, ed anche tra personaggi come Joschka Fischer, poi apprezzato ministro degli Esteri, avevano libera circolazione proposte bizzarre e provocatorie. Ma per loro fortuna i Grünen non dovettero subito confrontarsi con la questione del governo. Ne rimasero esclusi, a livello federale, per quindici anni. Oggi, invece, i parlamentari a Cinque Stelle devono fare subito delle scelte impegnative. Catapultati da una dimensione di attivismo locale senza nessuna esperienza istituzionale, si trovano ad avere in mano le chiavi della governabilità del nostro paese. Si può comprendere lo sconcerto. Solo che questo inevitabile spaesamento non viene compensato con la disponibilità all’ascolto e al confronto. Al contrario: alle solite litanie dell’essere null’altro che i rappresentanti dei cittadini (come se i parlamentari non fossero sempre stati questo, in linea di principio almeno) i grillini affiancano atteggiamenti altezzosi al limite dello sprezzante, scimmiottando già, ma in sedicesimo e senza il gusto del paradosso, la verve del loro capocomico. Se allora essi considerano – populisticamente – che tutti i partiti siano uguali e che nessuno meriti fiducia “a prescindere”, allora il loro contributo all’interno delle istituzioni è, e sarà, nullo. Ma se invece adottano un approccio meno ideologico, “alla siciliana”, valutando nomi e proposte, allora parte davvero la loro lunga marcia nelle istituzioni. Il Pd ha fatto una mossa verso il M5S che può essere definita disperata o coraggiosa. Comunque ha il grande merito di porre di fronte alle sue responsabilità il secondo partito del Parlamento (perché è il Pd il primo partito: calcolando i voti degli italiani all’estero i democratici hanno sopravanzato di centocinquantamila voti i grillini). Bersani si propone quasi come una vittima sacrificale del disastro politico-elettorale del suo partito: senza ponti dietro le spalle o piani B, va a stanare M5S dal suo cantuccio anti-tutti. Questa scelta obbliga il partito di Grillo a scegliere, ad assumersi il carico della governabilità possibile votando la fiducia ad un governo di minoranza, o dell’instabilità generale riportandoci tutti al voto. Ogni giorno i grillini tentano una via di fuga da questo dilemma. Ultimo in ordine di tempo, il richiamo alla lunga assenza di governo in Belgio, dimenticando però che quello è un paese federale con due comunità che gestiscono autonomamente molte competenze e la maggior parte del bilancio pubblico. Ad ogni modo, ogni altra soluzione è ora resa impossibile dalla manifestazione proto-sovversiva del Pdl al Tribunale di Milano. Per questo il Pd non ha altra scelta se non andare alla verifica dei numeri in Senato, incurante delle bordate a ripetizione di Grillo. Ma quindici giorni sono un’eternità in politica. E magari, alla fine di questo calvario, lo stesso Bersani
può individuare uno spiraglio imprevisto.