Stefano Rzzatto, La Stampa 13/3/2013, 13 marzo 2013
COSA SONO LE CURE COMPASSIONEVOLI?
In questi giorni si sta dibattendo del caso della piccola Sofia, bimba di tre anni affetta da leucodistrofia metacromatica, rara malattia degenerativa che porta a progressiva paralisi e cecità. La bambina aveva iniziato cure a base di staminali, ma un giudice ha imposto di interromperle. Com’è possibile?
I genitori della bimba si erano affidati alla terapia della fondazione Stamina, ideata da Davide Vannoni e somministrata nel laboratorio degli Spedali Civili di Brescia. Il metodo pareva funzionare per Sofia, ma pochi mesi fa il ministero della Salute ha definito «fuori da ogni norma» i farmaci usati in Stamina: il loro uso porrebbe «condizioni di rischio reale» per i pazienti. In più, nel 2011 il pm torinese Raffaele Guariniello ha messo sotto inchiesta Vannoni e altre 15 persone, per truffa e associazione per delinquere.
Perché allora la bambina aveva potuto accedere a quel trattamento?
Com’è noto, per molte malattie, specialmente quelle più rare, purtroppo non ci sono ancora cure disponibili. In questi casi la legge – con il Decreto Ministeriale dell’8 maggio 2003 – consente il ricorso a terapie sperimentali, ancora non validate dalla comunità scientifica e dal ministero della Salute, ma in fase avanzata di sperimentazione.
È questo che s’intende per «cure compassionevoli»?
Esatto. Difficile dire però se la terapia della fondazione Stamina rientri in questa casistica. Il decreto, firmato dall’allora ministro della Salute Girolamo Sirchia, lascia un margine d’interpretazione. E dice che una cura sperimentale si può utilizzare solo se «i dati disponibili sulle sperimentazioni [...] siano sufficienti per formulare un favorevole giudizio sull’efficacia e la tollerabilità del medicinale richiesto».
È in base a questa postilla che il giudice di Firenze ha deciso di bloccare la terapia di Sofia?
Sì, chiaramente hanno pesato l’inchiesta su Vannoni e il giudizio negativo del ministero su Stamina. Il problema è che per casi analoghi altri magistrati hanno invece autorizzato il ricorso a questa terapia e così i genitori della bimba hanno sollecitato l’intervento del ministro della Salute Balduzzi. Oggi sono molti a giudicare inaccettabile l’assenza di un criterio certo per situazioni così delicate. Basti pensare che, proprio su Stamina, il tribunale di Torino ha dato verdetti opposti, a distanza di pochi giorni, per due fratelli affetti da morbo di Niemann Pick.
E se il metodo Stamina fosse davvero efficace? In fondo la bimba sembrava migliorata...
«La verità è che non c’è alcuna evidenza scientifica della sua validità. Su questo tutta la comunità medica e l’Associazione Italiana di Miologia sono concordi», dice il professor Eugenio Mercuri, responsabile del reparto di neuropsichiatria infantile del policlinico Gemelli di Roma. «Stamina si è sempre rifiutata di fornire i risultati della sperimentazione, che pure sono stati richiesti più volte. L’unica pubblicazione autorevole su questo metodo ne ha dimostrato l’inefficacia su un gruppo di bambini trattati all’Ospedale Burlo Garofalo di Trieste. Gli studi clinici hanno regole che valgono per tutti: vanno valutati con dati e parametri, non con dei video o attraverso la percezione dei genitori».
Nell’attesa, in casi così disperati non avrebbe però senso fare un’eccezione?
«Al contrario: serve solo a illudere le famiglie - sostiene Mercuri -. Noi medici saremmo i più contenti di tutti se nascessero cure definitive per queste malattie così difficili. Però, senza dati certi, ogni terapia che promette miracoli è solo un modo di ingannare l’opinione pubblica, delegittimare i medici e far pericolosamente trascurare i corsi di cura normali».
Ma che alternative ci sono?
«Queste malattie vengono studiate in Italia e all’estero - conclude il professor Mercuri -. Proprio a livello internazionale si stanno testando metodi promettenti. Alcuni riguardano le staminali, ma quelli in fase più avanzata farmaci in grado di agire sul patrimonio genetico. Ogni azienda che non segue le regole finisce per screditare questo lavoro e mettere in cattiva luce la ricerca che si fa nel nostro Paese».
Ci sono precedenti di dissidi così profondi tra pazienti, famiglie, medici e giudici?
Molti ricorderanno la controversia nata 15 anni fa intorno al metodo ideato da Luigi Di Bella, che prometteva una cura alternativa efficace contro i tumori. Il 16 dicembre 1997 un giudice di Maglie (Lecce) ordinò all’Asl locale di fornire gratuitamente a un paziente i farmaci necessari per la terapia Di Bella. Fu l’inizio di un dibattito mediatico, con trasmissioni tv e persino manifestazioni di piazza. Furono in molti infatti a nutrire speranze nel nuovo metodo, ma la sperimentazione voluta dal ministero concluse nel 1999 che non c’era alcuna prova della reale efficacia della cura.