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 2013  marzo 13 Mercoledì calendario

LOTTERIA STAMINALI VIAGGIO DOVE SI GIOCA LA PARTITA PER LA VITA

L’ ultima speranza di Sofia è qui dentro. Tra le mura rosse e bianche degli Spedali Civili dove questa bambina fiorentina di 3 anni e mezzo affetta da Leucodistrofia metacromatica, una malattia degenerativa che la sta rendendo cieca e paralizzata, entro pochi giorni sarà sottoposta a un nuovo ciclo di cure. L’ultima parola su cosa sia meglio per lei l’hanno avuta un giudice, il ministro della Salute Renato Balduzzi e l’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco.

Il ciclo di infusione di cellule staminali provenienti da un famigliare consanguineo non sarebbe nemmeno una terapia. Cure compassionevoli le chiamano giuristi, burocrati e scettici. Ma per quelle cure si spera e si fa la fila. Davide Vannoni, il presidente di Stamina Foundation di Torino, l’uomo che ha inventato il metodo che tanti fa sperare, giura che la domanda è di gran lunga superiore all’offerta: «Negli ultimi mesi abbiamo ricevuto 8000 richieste da persone senza cure e in pericolo di vita. Trattando 150 casi l’anno, ci vorrebbero 53 anni e quattro mesi per finire».

Alcune centinaia di quelle richieste piovono qui a Brescia, in questo ospedale vicino allo stadio dove molti pazienti giocano l’ultima partita per la vita. «A tutti rispondiamo che non c’è nemmeno una lista di attesa. Noi possiamo intervenire solo se lo decide un giudice», raccontano dall’Urp, l’ufficio rapporti con il pubblico, la front-line dell’istituto dove arrivano le richieste. Non possono muoversi prima, ma qui è tutto pronto da almeno un anno. Quando iniziarono le sperimentazioni su 12 pazienti, adulti e bambini di mezza Italia, con patologie gravissime. A maggio ci fu lo stop perchè questa cura non è una cura riconosciuta e dopo la piccola Celeste e il piccolo Gioele si è dovuta aspettare l’ennesima sentenza per far sperare i genitori di Sofia. Sua madre Caterina C., che solo da un giorno ha ripreso a respirare un po’ di ottimismo, non vuole pensare che sia troppo tardi: «La situazione è drammatica. La seconda infusione a Sofia andava fatta entro il 3 febbraio. Fino al 10 è stata bene. Poi il tracollo. Un tracollo che si poteva evitare».

Perchè alla fine queste cure sono un po’ come la lotteria. La comunità scientifica è divisa. Davide Vannoni che l’ha ideata giura che non ci sarà mai nè un farmaco da commerciare nè un tentativo di lucrare. Ma a parte questo di Brescia, una delle eccellenze mondiali per l’Oncoematologia pediatrica, ci sono solo altre 12 cell factory in tutta Italia, tra l’Ospedale Maggiore di Milano e il resto del Paese. Oltre alla piccola Sofia il Tar di Brescia ha deciso di concedere il diritto alla cura ad altri 14 pazienti, ma solo fino a novembre di quest’anno. Poi si vedrà. Altri otto pazienti sono in attesa, sparsi un po’ ovunque.

Ma per i pochi che ce la fanno, altri si fermano davanti al muro della burocrazia. A una donna di Torino affetta dalla sindrome di Niemann Pick, un giudice ha detto no lo stesso giorno che un altro giudice di Firenze ha detto sì a Sofia. Luigi B. il padre della donna torinese non si capacita: «La patologia è la stessa. Evidentemente c’è chi ha diritto alle cure e chi no». Evidentemente ci vorrà tempo prima che si stabilisca una volta per tutte se la manipolazione delle cellule staminali da un soggetto sano a un consanguineo malato sia lecita o no, prima che efficace. Agli Spedali Civili di Brescia non si pongono nemmeno il problema. Sono attrezzati per farlo. Sono sempre pronti a farlo. Lo faranno presto su Sofia, autorizzata da un giudice con la toga nera, più decisivo di un medico con il camice bianco. un nome a quella strada. Salvatore studente alle superiori, musicista, viaggiatore e poi, al ritorno da Israele, alpino a Cuneo. Lì incomincia a non star bene. Qualcosa, piccola, minuscola cosa, già si intravedeva, come la banale difficoltà a infilare la chiave nella serratura.

Da allora il papà, Luigi, entra da profano, da curioso, da assetato, ma senza mai farsi prendere dal disordine dell’affanno, nei misteri della medicina. C’è un farmaco che può rallentare il decorso. Si informa, lo cerca, incomincia una battaglia («ero pazzo? pazzo di fiducia») perché si parla di smisurati costi, 450 euro al giorno. Si sperimenta e, nel 2005, arriva l’approvazione: «Lo prese anche Erika. Fino a qualche mese fa camminava, mangiava da sola». Bonavita continua a raccogliere informazioni, studi, fonda l’Associazione, finanzia master, tiene a precisare, non finalizzati alla sindrome dei figli ma «alle malattie rare, che sono 8 mila, colpiscono due milioni di persone». Fino al discorso sulle staminali, ai passi per intervenire con quelle. E qui si apre il capitolo che ha invaso ora le cronache: sì al metodo Stamina, dice una sentenza per Salvatore, sì alla terapia ma non con quel metodo, dice un’altra per Erika. «Ma un sì, questo, che resta appeso al nulla: come, dove, quando?».

Sul tavolo c’è un pc carico di tutti i passaggi legali, gli studi, le relazioni, ci sono fascicoli di carta, ma non sono il centro della giornata, sono un pezzo «fondamentale» - del mosaico. La giornata sono Salvatore e Erika, assistiti da Margherita e Giulia, «le tate», è il cagnolino Spillo che sorveglia chi si avvicina ai suoi ragazzi, è l’auto qui fuori alla quale sono stati tolti i sedili per sistemare un lettino, perché ogni anno si va al mare in un villaggio turistico, «dove mio figlio guarda il mondo», dice Clara. Il mondo al quale - nelle sere di inizio malattia, quando sedeva in sala a leggere e sottolineare - aveva dedicato una poesia: «Uomo, nulla è perduto/ ama questo mondo/ che sta per morire/ perché è con il tuo Amore/ che risorgerà».