Sara Monaci, Cesare Peruzzi, il Sole 24 Ore 12/3/2013, 12 marzo 2013
MPS VA ALLO SCONTRO CON NOMURA
SIENA. Dal nostro inviato
Il contratto di finanza strutturata tra Mps e Nomura è stato sottoscritto in pieno conflitto di interessi dagli ex vertici della banca senese - l’ex direttore generale Antonio Vigni e l’ex presidente Giuseppe Mussari. Il fine dei derivati non era infatti la solidità finanziaria dell’istituto di credito senese, ma far sembrare il bilancio solido e privo di perdite, così da non mettere in discussione la bontà dell’operazione messa in piedi per acquistare Antonveneta dal Santender nel 2008, per 9,3 miliardi. È quanto emerge dall’atto di citazione di Mps contro Nomura.
Nella richiesta di risarcimento danni per 700 milioni, avviata il primo marzo con la richiesta di un atto di accertamento al Tribunale delle imprese di Firenze da parte di Mps nei confronti di Nomura (oltre che di Mussari e Vigni), si spiega il perché della volontà dei nuovi vertici bancari, il presidente Alessandro Profumo e l’ad Fabrizio Viola, di sostenere un contenzioso legale.
Prima di tutto il fatto che i precedenti vertici abbiano violato gli interessi del loro stesso istituto di credito, e solo per dimostrare fittiziamente di aver tenuto i conti in ordine nascondendo le perdite, provocando così un’ulteriore passività occultata agli organi di vigilanza attraverso un altro prodotto strutturato "tossico" (Alexandria), il cui obiettivo era sostanzialmente solo quello di recuperare la distribuzione del dividendo da 0,01 centesimi per azione del 2009, per 220 milioni complessivi.
Questa stessa cedola sarebbe stata, secondo gli avvocati di Mps, una forzatura voluta dagli ex vertici per restituire un po’ di denaro alla Fondazione Mps, azionista di controllo dell’istituto senese, che si era indebitata per permettere a Mps l’acquisto di Antonveneta (e per pagare il Fresh senza che alcuni sottoscrittori dovessero far valere la "indemnity side letter", illecita sotto il profilo normativo ma ugualmente sottoscritta da Mps).
Secondariamente lo strutturato di Nomura ha elevati costi occulti non convenienti per Mps, come il passaggio dal tasso fisso al variabile applicato ai conti pronto termine e l’elevata garanzia richiesta sui Btp (di fatto un Credit default swap, che ad esempio nel 2011 è salito fino al punto di richiedere 2,1 miliardi di valore per garantire 3 miliardi di debito). L’ipotesi di reato ipotizzata per Nomura è ancora da stabilire, ma non è escluso che si possa parlare di truffa.
Intanto per quanto riguarda l’ex capo della Finanza Gian Luca Baldassarri, nel carcere di Sollicciano, ritenuto il capo della "banda del 5%", non sarà sentito questa settimana. Nell’ultima ordinanza del gip di Siena, che ha confermato gli arresti, si parla nuovamente di pericolo di fuga, oltre che di reato di riciclaggio in Svizzera. Saranno invece ascoltati venerdì prossimo l’ex dg Vigni e sabato prossimo l’ex responsabile dell’operazione Antonveneta, Marco Morelli.
Ieri sono stati infine ascoltati alcuni colleghi di David Rossi, il responsabile della comunicazione di Mps che mercoledì scorso si è suicidato (non era indagato). Ad oggi i procuratori di Siena tendono ad escludere che ci sia una relazione tra il reato di insider trading, per cui è stato aperto un fascicolo, e il gesto del dirigente, più legato probabilmente ad una depressione. Non sembrerebbe neppure che abbia avuto prima di morire una lunga telefonata significativa con qualcuno, di cui invece si era parlato nei giorni scorsi.
Sara Monaci
LA FONDAZIONE FA CASSA: CEDUTO LO 0,77% DELLA BANCA –
FIRENZE. La Fondazione Mps torna a fare cassa. Nel corso del mese di febbraio ha ceduto in più tranches sul mercato telematico 90 milioni di titoli Montepaschi, pari a circa lo 0,77% del capitale, a un prezzo medio di 0,2376 euro per azione. Il pacchetto rappresenta circa la metà della quota di Banca Mps che l’Ente presieduto da Gabriello Mancini non ha dato a garanzia del proprio indebitamento (1,44% sul 34,9% controllato), e il valore dell’operazione è di 21,3 milioni.
«Le vendite sono state finalizzate esclusivamente alla costituzione di un adeguato livello di liquidità, in modo da salvaguardare l’equilibrio finanziario nel medio periodo», spiega una nota della Fondazione. Tradotto: servivano soldi per assicurare continuità alla gestione ordinaria che, per l’anno in corso, prevede un tetto massimo di 5 milioni per le erogazioni al territorio, ben lontano dai 197 milioni del 2007, ultima stagione felice per il sistema senese.
L’andamento del titolo di Banca Mps non sta aiutando la Fondazione guidata dal direttore generale Claudio Pieri, che ha 350 milioni d’indebitamento da restituire e un budget da far quadrare. Per questo, facendo di necessità virtù, è stata decisa la vendita di un primo pacchetto di titoli. Lo 0,70 ancora libero da vincoli andrà sul mercato in base alle necessità. Poi, entro il 2017, la Fondazione s’è impegnata a chiudere l’esposizione finanziaria e dunque dovrà cedere una quota più consistente di titoli Mps, tra il 10 e il 15% a seconda della capitalizzazione del momento.
Da questo passaggio e dall’aumento di capitale da un miliardo senza diritto d’opzione della banca presieduta da Alessandro Profumo, previsto non oltre il 2015 e già delegato al consiglio d’amministrazione dagli azionisti, nascerà la futura governance del terzo gruppo italiano del credito, alle prese con una transizione difficile, tra inchieste della magistratura sulla passata gestione, aiuti pubblici e un piano industriale che l’amministratore delegato Fabrizio Viola sta portando avanti con molta determinazioane.
La prospettiva che Banca Mps resti indipendente è una scommessa. Così come l’impegno di pagare cash gli interessi allo Stato sui 4,071 miliardi ricevuti sotto forma di Monti bond e la restituzione del capitale. L’alternativa è la nazionalizzazione del gruppo di Rocca Salimbeni. Una prospettiva certamente non gradita alla Fondazione che da oggi mette online sul proprio sito la bozza di riforma dello statuto, realizzata con la consulenza di Angelo Benessia. Per circa un mese tutti potranno intervenire con suggerimenti e proposte. Poi la Deputazione generale prenderà una decisione.
Alla politica spetterà non più del 50% della futura governance, in linea con le normative e la Carta delle Fondazioni. La proposta di suddivisione delle poltrone tra le diverse istituzioni, pubbliche e private, è ancora in bianco. Nella bozza di statuto, c’è solo la riduzione da sette a cinque dei componenti della Deputazione amministratrice (il cda). L’organo d’indirizzo, o Deputazione generale secondo l’antica dizione senese, dovrebbe comunque passare dagli attuali 16 a 12, massimo 14 rappresentanti. Con un forte ridimensionamento per gli Enti locali.
Il Comune di Siena, che finora indicava otto nomi, passerebbe a tre o quattro. La provincia a due, mentre la Regione Toscana resterebbe a quota uno. Una poltrona ciascuno avrebbero poi Camera di commercio, Curia, Università e Consulta del volontariato. Gli ultimi due posti potrebbero essere assegnati per cooptazione a personalità di livello nazionale e internazionale, come apertura verso l’esterno di una Fondazione che si è resa conto di aver vissuto i suoi primi 18 anni in maniera troppo autoreferenziale e politicizzata.
La disposizione transitoria approvata nei giorni scorsi d’intesa con il ministero dell’Economia (vedere il Sole 24 Ore del 3 marzo) servirà, nel caso di approvazione del nuovo statuto, a ridurre di un mese i tempi previsti per le nomine. In modo da indicare i futuri organi di governo all’inizio di agosto, sulla base delle regole riviste con il contributo dei cittadini. Poi, l’Ente di Palazzo Sansedoni proverà a interpretare un ruolo diverso: più catalizzatore di progetti e investimenti, che semplice erogatore di fondi. E anche questa è una scommessa.
Cesare Peruzzi