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 2013  marzo 12 Martedì calendario

PER RIENTRARE IN GIOCO IL CENTRODESTRA ORA PUNTA SU D’ALEMA

La linea ufficiale di Pier Luigi Bersani è ancora quella di cercare pochi o tanti voti dai parlamentari del Movimento 5 stelle. Ma ormai è chiaro che nessun governo, tanto meno quello guidato da «Gargamella», troverà quei voti al Senato. Quasi a modo di sfottò, ieri il capogruppo M5s a Palazzo Madama, Vito Crimi, ha detto che se proprio vogliono dare loro la presidenza di una Camera, se la prendono e dicono grazie. Altrimenti pretendono una vicepresidenza in entrambe le Camere (ed è realistico ottenerla) e anche un membro del collegio dei questori (che sono tre a Montecitorio e tre a Palazzo Madama, e questo è assai più difficile). Resta quindi ancora in campo la possibilità che la presidenza della Camera sia offerta dal Pd che lì comanda a Marta Grande, la giovanissima deputata M5s di Civitavecchia. Ma è un’offerta puramente teorica, che cadrà se non c’è la speranza di ottenere un sostanziale via libera di Beppe Grillo a un governo Bersani. All’interno del Pd ci sono ben altre trattative reali in corso, e non riguardano i cosiddetti grillini. Perché insieme al governo e ancora prima dell’incarico che Giorgio Napolitano a qualcuno dovrà pure dare, bisogna votare le cariche istituzionali: le presidenze delle Camere a cui inevitabilmente è legata anche la corsa verso il Quirinale che si aprirà il 15 aprile prossimo. I conti sono chiari: per vincere sia alla Camera e al Senato al Pd basta una intesa con Mario Monti e i suoi centristi. Alla Camera infatti la sinistra è autosufficiente, e al Senato con Monti sarebbe in grado di vincere quel ballottaggio che il regolamento impone dopo la terza votazione a meno che (ed è impossibile) Silvio Berlusconi non trovi un’intesa con Grillo su un altro candidato. Con Monti il Pd sarebbe sulla carta anche in grado di eleggere dalla quarta votazione in poi il prossimo presidente della Repubblica: insieme hanno 534 voti sui 948 appartenenti alle due Camere, che diventeranno circa 560 su 1003 includendovi i 58 grandi elettori del Capo dello Stato che arriveranno dalle 20 Regioni italiane.
Sull’alleanza istituzionale con Monti lo stato maggiore del Pd è ormai d’accordo. Si dividono solo sulla spartizione delle cariche. Secondo Rosy Bindi ai montiani dovrebbe essere offerta la presidenza della Camera e il Pd non dovrebbe mollare per tutto l’oro del mondo quella del Senato, perché sarà da lì che si condurranno i possibili giochi politici. In questo quadro la guida della Camera dovrebbe andare o a un vecchio lupo della politica come Rocco Buttiglione o a un neomontiano tipo Andrea Romano o Gregorio Gitti. Per la presidenza del Senato invece il Pd farebbe correre Anna Finocchiaro, che a quel punto diventerebbe la seconda carica dello Stato e avrebbe carte da spendere sia per la successiva corsa al Quirinale sia per la guida di un governo istituzionale breve pronto a riscrivere la legge elettorale in caso di fallimento di Bersani. Questa è l’ipotesi più gettonata. Ma bisogna che sia accettata dai montiani una presidenza che vale come il due di picche: alla Camera la maggioranza della sinistra è bulgara grazie al maxi premio in seggi regalato dal Porcellum. L’ipotesi inversa (Camera al Pd e Senato ai montiani) darebbe la guida di palazzo Madama a Linda Lanzillotta, eletta nei montiani, ma di lunga storia e legami familiari (è la moglie di Franco Bassanini) che rassicurano il Pd.
I numeri dicono che le prime due cariche istituzionali sono alla portata del Pd e degli alleati che volesse scegliersi senza che Berlusconi e il Pdl possano toccare palla in alcun modo. Non è mai capitato al centro destra di essere politicamente così ininfluente e isolato in Parlamento, ma è la realtà e con quella bisogna fare i conti. L’unica partita che potrà giocare sarà quella del Quirinale. Ma anche quella non ha molte opzioni. Sulla carta Pd e Monti basta che si mettano d’accordo su un candidato. Quella alleanza però è fragile perché i papabili di casa sono molti, spesso si giocano l’ultima chance in questa partita. Per Berlusconi è proprio quella la leva per fare saltare ogni accordo. Ha un solo modo di farlo: lanciare pubblicamente prima del voto la riconferma di Napolitano sul Colle. Se il candidato dovesse ancora declinare l’offerta - come ha fatto fino ad oggi - al centro destra non resterebbe che votare un candidato Pd che spezzi il fronte ufficiale con Monti. Ce ne è uno solo che farebbe saltare tutto: Massimo D’Alema. Un rospo duro da fare digerire all’elettorato di centrodestra. Ma l’unico rospo da baciare che farebbe tornare in gioco il Pdl, che altrimenti rischia di restare escluso da tutto peggio del Msi nella prima Repubblica.