Oliviero Beha, Il Fatto Quotidiano 12/3/2013, 12 marzo 2013
PRESIDENTI FUORI PALLA
Mezzo secolo fa il presidente del Coni, Giulio Onesti, chiamato per la sua intelligenza superiore l’Andreotti dello sport sia agiograficamente che criticamente, aveva coniato la formula: “Ricchi scemi”. Tali erano secondo lui i presidenti del calcio di allora. Non tutti, per carità: non si sarebbe mai permesso di ironizzare sull’Avvocato Agnelli, con il quale non aveva in comune il gusto per l’antiquariato né per le donne né per i mobili. Oppure di prendersela con il petroliere sommo Angelo Moratti, per dire. Ma quanto agli altri, era una goduria. Adesso al Coni c’è Malagò, una ventata di novità e attenti ai raffreddori, che pure una sana diffidenza nei confronti del calcio attuale ce l’avrebbe. Gliel’ha fatta metabolizzare ed espellere con la consueta eleganza elettorale l’unico nume sportivo rimasto in circolazione, Franco Carraro, durante il Conclave dove un Cardinaletto è uscito Papone. E del resto non ci sarebbe neppure bisogno di un Malagò per stigmatizzare ciò che accade a molti dei Presidenti di questo pallone in ambasce che ricorda da vicino un film insieme orrido e significativo, Il Presidente del Borgorosso Football Club. Con Sordi... Mentre scrivo, ad esempio, non so se il capoccia del Palermo, Zamparini, ha di nuovo cambiato allenatore: calma, sono al corrente dell’ennesimo richiamo ieri del Sannino delle origini al posto di Gasperini II, ma non escluderei che a giornale in edicola ne avesse ingaggiato un altro ancora. E va detto che è il metodo che lascia leggermente perplessi, comunque funzioni l’esonero.
PERCHÉ PER un Palermo che affonda malinconicamente dopo l’ennesimo ribaltone pur non avendo in sé giocatori malvagi bensì mal accroccati e forse demotivati, c’è un Genoa che gioca benissimo e raccoglie addirittura poco specie se il Milan incassa arbitraggi di favore: ma lo Zamparini ligure, in arte il Preziosi, sulle panchine ha operato in modo analogo e molto ha sfruculiato prima di trovare un Ballardini d’annata. Il che, appunto, non vuol dire che un De Canio o un Delneri fossero degli incapaci. Altrove han fatto bene. E fin qui siamo in fondo alla classifica, dove l’idea che comunque qualcuno alla fine debba pur retrocedere sembra non sfiorare neppure quelle menti illuminate. Programmazione? Ma via... Fasi alterne della vita e della vita sferica? Ma che dite mai...! Fiducia all’inglese davvero oltre ogni limite in un tecnico di cui hai stima? Non si può, perché “i tifosi non lo permetterebbero”. E così si cambia, e l’allenatore “fusibile” dovrebbe salvare l’impianto elettrico mentre il management pallonaro fa acqua quasi sempre quasi dappertutto e i giocatori vengono ingaggiati a montagne anche se non servono perché c’è un giro d’affari e di procuratori e di “cessione del quinto” che innamora. Così sembra sempre che una squadra di calcio non sia una doverosa filiera tra dirigenti, staff tecnico e calciatori, in cui ovviamente dovrebbe essere compresa la semina giovanile. No: è tutto a segmenti separati. E il buon Cagliari del duo casereccio Pulga-Lopez sembra una pianta grassa cresciuta nel nuraghe di un presidente, Massimo Cellino, che traffica in stadi. E per la Roma c’è sempre una trasvolata oceanica in corso verso gli “amerikani”, oppure una scampagnata dallo sceicco di turno.
E DI NUOVO guai a collegare la filiera di cui sopra, che funziona nel bene e nel male, come ha dimostrato la Fiorentina dei Della Valle oggi rigenerata ma fin dal clima in società rispecchiato dal campo e dai risultati. E l’onnivoro Milan di Berlusconi di questi tempi comunque cresce su una società che funziona anche senza “legittimi impedimenti”, e la Juve si è ripreso scettro e fama grazie a una rifondazione societaria costosissima seguita alla defenestrazione del manager più vincente in assoluto, Luciano Moggi una volta detto “Licio” e oggi a leccarsi le ferite per la trappola in cui si è andato a cacciare. Un Conte sempre d’attualità per le scommesse (adesso tocca al caso Salernitana-Bari...) dice il vero individuando in Giaccherini, il puffo “matador” del Catania, l’autentico spot di questa Juve assatanata in Italia e in Europa. Ma non si arriva a tanto se non si hanno le spalle societarie protette. Come è accaduto per la grande stagione dell’Inter morattiana, dei tempi di Onesti da cui sono partito e dei tempi di Abete, l’altroieri, tra le brume di Calciopoli. Adesso, purtroppo, per la Beneamata c’è confusione un po’ dappertutto, e il campo ne è solo uno specchio convesso. Moratti ama le figurine, e qualche volta per troppo amore brucia gli album: delegare a gente di cui ti fidi in questo come in altri campi è indispensabile e difficile, non sempre c’è un Mourinho che si accolla un po’ tutto perché pensa a torto o a ragione (magari a ragione…) di essere tre spanne al di sopra degli altri. E del resto vi parrebbe possibile che in una crisi generale il calcio nostrano colmo di nefandezze potesse scamparla? Non ci sono a cassetta gli stessi contro cui tuona Grillo che di pallone sa poco e niente?