Stefano Feltri, Il Fatto Quotidiano 12/3/2013, 12 marzo 2013
BANCHE E IMPRESE: LE CRISI CHE I POLITICI HANNO RIMOSSO
Fate un controllo: guardate tutte le dichiarazioni politiche di ieri e contate quelle sulla crisi, sui numeri disastrosi del Pil, sui disoccupati, sul problema delle banche che si preparano a pubblicare questa settimana bilanci non felici. Risultato: zero. C’è solo il ministro per gli Affari europei, Enzo Moavero, che nell’indifferenza dei partiti (Pd escluso) va a Bruxelles per ottenere un trattamento di favore sul deficit. I leader politici, Mario Monti incluso, hanno altro a cui pensare. Eppure i numeri e i problemi sono evidenti anche per chi non esce dai palazzi romani del potere. L’Istat ieri ha comunicato che il calo acquisito del Pil nel 2013 è del -1 per cento. Cioè: nei primi due mesi dell’anno abbiamo prodotto circa 15 miliardi di ricchezza in meno rispetto allo scorso anno. Il ministro dell’Economia Vittorio Grilli assicura che la ripresa arriverà “nella seconda metà dell’anno”, ma tutte le previsioni di medio periodo in questi anni di crisi si sono rivelate sballate. Non si può neppure più dare la colpa ai mercati: gli investitori sono abbastanza tranquilli, ancora in attesa di capire che succede nel dopo-voto, il temuto spread ieri ha chiuso a 313 punti, alto ma non drammatico. La minaccia più grave alla tenuta dell’Italia è tutta interna. “Speravamo che un nuovo governo potesse avviare un cambio di fase, invece niente”, dicono i banchieri italiani in questi giorni.
E SONO PROPRIO le banche a trovarsi in prima linea, in questo momento. Se crollano i consumi interni (nell’ultimo trimestre, dice l’Istat, nuovo calo dello 0,7 per cento), le imprese che non esportano restano senza domanda. E avendo fosche prospettive per il prossimo futuro non possono sperare di ottenere nuovi finanziamenti dalla banca che, anzi, comincia a preoccuparsi per i debiti pregressi. Morale: secondo un rapporto di Mediobanca Securities diffuso ieri, le principali dieci banche italiane hanno 124 miliardi di euro di crediti problematici, cioè quelli che almeno in parte non saranno restituiti. Il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco ha deciso di trattare i banchieri senza guanti: nel suo discorso di venerdì ha chiesto l’adozione di “un nuovo sistema di accantonamento a riserva (provisioning) basato sulle perdite attese riveste rilevanza immediata per gli utenti finali e nell’ottica della stabilita’ finanziaria”. Tradotto: care banche, dovete ammettere che i numeri nei vostri bilanci sono troppo ottimistici e rivederli al ribasso. Anche perché il settore immobiliare sta collassando, i prezzi sono in calo (secondo la Federazione degli agenti immobiliari nel 2012 hanno fatto -12 per cento) e questo potrebbe costringere le banche a rivedere il valore delle garanzie ottenute in cambio dei mutui. Se la garanzia vale meno, il debito è più rischioso, quindi o si chiede al debitore di integrare oppure il prestito va classificato come più pericoloso.
SECONDO MEDIOBANCA Securities, guidata da Antonio Guglielmi, servirebbero almeno 18 miliardi per una bad bank che si accolli i crediti dubbi delle grandi banche e permetta loro di ripulire i bilanci ricominciando a operare senza zavorre , dando più credito a un’economia che ne ha bisogno disperato. Ma chi ce li metterebbe i 18 miliardi? Il fondo Salva Stati Esm, secondo lo schema che si sta sperimentando in Spagna (dove, però, sono di fatto un prestito allo Stato e non una ricapitalizzazione diretta). Servirebbero subito altri 50-70 miliardi per pagare le imprese creditrici della Pubblica amministrazione, visto che ormai le banche non anticipano più le fatture (non ci sono garanzie su se e quando Comuni e Regioni pagheranno). Un governo credibile potrebbe discutere di tutto questo a Bruxelles, eventualmente trattare l’intervento dell’Esm per le banche e, soprattutto, negoziare un compromesso contabile per emettere nuovo debito per pagare le imprese senza che questo finisca nel conto generale (si parla di un intervento della Cassa depositi e prestiti). Ma il governo non c’è.