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 2013  marzo 12 Martedì calendario

I DIECI PUNTI (IRRINUNCIABILI) PER L’AGENDA DEL NUOVO PONTEFICE

Il totopapa ha le ore contate. Gli accordi noti e quelli non noti sono fatti. I tanti non impegnati decideranno solo martedì notte se far valere altri nomi e ragioni. Poi sapremo chi è il successore di Benedetto XVI. Già adesso sappiamo che chiunque uscirà eletto porterà sul trono di Pietro lo stile che lo ha formato — una congregazione, un movimento, un ordine, un collegio. Sappiamo che davanti a lui c’è un’agenda delineata in questi giorni: che si può provare ad ordinare, partendo dai problemi più facili fino a quelli più sostanziali.
1. Riformattare la Curia
Tutti hanno parlato della Curia romana dicendo cose ovvie. Che chi non ha la statura intellettuale o morale debba cambiar mestiere è ovvio. Che il carrierismo, male non meno vergognoso della pedofilia, vada stroncato è ovvio. Che il Segretario di Stato abbia bisogno di un organo di coordinamento è ovvio. Il Papa sa che questa formattazione va fatta: può solo decidere se farla rendendo nota la «relatio» sulle malebolge che tutti gli chiederanno o meno.
2. Lo Ior
Dallo Ior sono venute solo grane: i presidenti scelti dopo Marcinkus non sono bastati. Altri guai incombono, dicono. Perciò dello Ior bisognerà fare a meno. Per secoli s’è pensato che il potere temporale fosse indispensabile: e quando è finito ci si è accorti che era una liberazione «provvidenziale», come disse Montini. Con lo Ior sarà lo stesso. Se lo si essicca si sgonfieranno tante sconcezze. Se no, il Papa dovrà prepararsi ad difesa molto ardua.
3. I tradizionalisti
La rinunzia di Ratzinger è precipitata dopo il fallimento del negoziato coi tradizionalisti. I lefebvriani sono riusciti a far credere di essere la metà della Chiesa: hanno imposto l’agenda, fatto confusione, guai, un negazionista nel collegio apostolico, e non hanno concesso nulla. Tutti i negoziatori — Ratzinger, Levada, Müller — hanno fallito: perché l’autismo teologico di chi chiama tradizione la propria nostalgia non si cura trattando. O il Papa fa una «perdonanza» che riconosca la debolezza della loro comunione. O finirà per strozzare l’autorità dei vescovi e sfregiare la fraternità con l’ebraismo.
4. Il senato di comunione
A lungo s’è temuto che un organo di comunione del collegio episcopale minacciasse l’autorità del Papa. La rinunzia di Ratzinger dice che è il contrario: invece proprio la solitudine di Pietro l’ha esposto alle bizze di ladruncoli e zozzoni e ne ha indebolito la figura. Un Papa che a differenza dei predecessori creerà un senato della comunione prima o poi ci sarà: il prossimo Pontefice dovrà solo decidere se essere l’ultimo di una fila o il primo dell’altra.
5. L’unità delle Chiese
Tutte le Chiese vivono una crisi di comunione, simile alla crisi delle democrazie. L’arcivescovo di Canterbury Rowan s’è dimesso a dicembre, Antiochia, Sofia, Alessandria, Addis Abeba hanno nuovi patriarchi in cerca di dialogo. Fra Mosca e Costantinopoli resta una ruvidità. La primavera evangelicale suscita reazioni diverse fra i protestanti. Pietro può davvero servire la comunione delle Chiese ed evitare che l’unità dei cristiani sia visibile solo per chi assalta una assemblea domenicale per far strage. A gennaio del 2014 cade il cinquantesimo dello storico abbraccio di Gerusalemme fra Paolo VI ed Athenagoras, segno che nessuna divisione è incurabile all’amore: il nuovo Papa non deve scegliere se tornare a Gerusalemme, ma come, perché, con chi.
6. Obbedienza al Vangelo
Nei pontificati recenti la Chiesa ha scommesso che la sua forza si misurasse nello spazio pubblico, condannando leggi e costumi in nome della legge naturale. Molti cardinali hanno chiesto di non uscire da questo orizzonte in nome di una «nuova evangelizzazione» rivolta a un occidente post cristiano. Altri pensano che sia tornato il tempo di rimettere il Vangelo prima di tutto: anche prima delle condanne. Su questo, il Papa non deciderà dando una linea: ma, come diceva Gregorio Magno, con una «parola confermata dalla vita».
7. Il ministero
Urge un discernimento sui ministeri. Sui preti, spesso usati dalle diocesi e dai movimenti per vantarsi e per pretendere qualche bonus di carriera. Sui ministeri uxorati e femminili che fioriscono. E soprattutto sui vescovi la cui scelta è un nodo dolente: O’Brien avrà vizi tremendi, ma non quello di essersi fatto vescovo da solo. Un sinodo straordinario con tutti i nunzi servirebbe a discutere con la libertà e serietà usata dai cardinali in questi giorni.
8. Ex Oriente lux
Il mondo di cui il nuovo Papa sarà un’antenna ha spostato il proprio baricentro a Oriente, oltre le terre dell’Islam e della guerra, dove si gioca il destino del pianeta: in India, in Vietnam, in Corea. E soprattutto nella Cina, dove la Chiesa cattolica ha due problemi. Uno riguarda l’elezione dei vescovi, questione nella quale Roma ha un’esperienza fatta ai tempi di Casaroli che potrebbe tornar buona. L’altro assai più profondo riguarda la sfida di un Cristianesimo che come imparò a rendersi povero per dire il Vangelo nel mondo barbarico, celtico, slavo, arabo o africano — adesso deve di nuovo fare quel cammino di povertà del Cristo per apprendere lingua e cultura di uomini e mondi che non possono essere lontani da Dio.
9. Islam
In questo sforzo di mitezza e di povertà il Cattolicesimo forse troverà anche il modo di capire la grande faglia dell’Islam e trovare una «tregua»: che non si ottiene cercando musulmani «moderati» nell’oceano di un salafismo insurrezionalista dilagante, ma parlando con la mitezza e la fermezza di chi sa che Dio guarda l’Islam con occhi diversi da quelli dei grandi imperi.
10. Il Concilio
Il Conclave s’apre nella festa di Gregorio Magno, uno dei due Papi che con Giovanni XXIII si può dire abbia segnato un millennio. Uno cantore della contemplazione e della «regola pastorale», l’altro iniziatore di un Concilio «pastorale» perché capace di dire la verità in modi coerenti alla verità crocifissa che è Gesù. Per chi uscirà Papa dal Conclave ci potrebbe essere auspicio migliore a guardare lontano, a portare al largo la barca di Pietro?
Alberto Melloni