Emanuela Audisio, la Repubblica 12/3/2013, 12 marzo 2013
SONO L’ARMSTRONG DEL WEB MA CERCO UNA VITA NORMALE
[Felix Baumgartner]
Rocket man ha vinto la terra. Una bella destinazione se ti sei buttato dalla stratosfera, da una capsula che ti ha fatto da cornicione artificiale. Se sei stato quel puntino lassù (39.045 metri) e dopo dieci minuti il puntino quaggiù. Se sei sceso più in fretta di tutti, anche della barriera del suono. Il volo più pazzo del mondo. Eccolo, signori, il pazzo: Felix Baumgartner, 44 anni, austriaco. Abbronzato, sportivo, tatuaggio sul braccio destro: born to fly. Occhi abituati a controllare, a scrutare
la notte.
Felix, si sente a casa?
«Ci provo. Ora posso. Ora che ho realizzato l’impresa. La normalità, certo. Devo imparare a conoscerla, frequentarla. Sono fidanzato, vorrei sposarmi, fare una famiglia. Ci tengo, ma finora me l’avevano sconsigliato».
Chi, lo staff?
«No, i miei amici. Mi dicevano: se hai figli non ti butti più. Ti porti le foto dietro, ci pensi, li guardi e magari ti dici no, non salto, voglio vivere, voglio godere, non morire ».
Ecco, appunto, mai pensato di fare un passo indietro?
«Non sono un matto, il mio non era un tentativo di suicidio spaziale assistito. Mi sono allenato per sette anni e ci sono stati momenti difficili, incerti. Ma la risposta migliore è stata dormirci sopra, provare e riprovare gli esperimenti, la tuta, il materiale, il volo. È come svegliarsi la mattina, magari hai un momento di debolezza e di timore, ma il primo passo è mettere il piede a terra».
Lei è stato l’Armstrong del web: lui andò sulla luna, lei è caduto sulla terra.
«Me lo scrivono tutti, soprattutto i ragazzi come me nati nel ‘69. Anch’io non ho potuto vedere Armstrong ma per me lui e la luna sono sempre stati un mito. Insieme a Edmund Hillary e a Muhammad Alì. Per questo mi sono impegnato con la fondazione Laureus, che finanzia progetti sociali. A me piacciono quelli che lasciano il segno, che aprono strade».
Vorrà mica invitare altri a buttarsi?
«Ai ragazzi dico: smettere di stare al computer, su Facebook e di navigare su internet. Uscite fuori, andate all’aria aperta, correte in bicicletta, arrampicatevi sugli alberi. Io ho iniziato così, anche se mio padre era molto prudente e non voleva che lo facessi. Per questo poi ho iniziato lo sky diving».
Andrà su Marte?
«Io non salterò più. L’ho già fatto, che altro vorrei volere: doppiare la velocità del suono? Tranquilli, non andrò nemmeno su Marte. Meglio curare il nostro pianeta, già abbastanza malandato. È ora di un’impresa normale, di sposarmi, lavare i piatti, tosare il giardino. Ho anche la licenza di pilota commerciale. In più guido gli elicotteri e mi occupo di soccorso alpino. Quando il tempo è brutto e c’è nebbia, soccorrere un ferito, è già roba difficile. E poi c’è un momento in cui devi ricambiare: in tanti hanno lavorato per me, per garantire la sicurezza del mio tentativo, ora è il turno mio».
Nessuna nostalgia del lancio a Rio del ‘99?
«Allora mi gettai col paracadute dal Cristo Redentore: solo 28,9 metri. Ripensandoci posso commuovermi. In quel momento non ci riuscivo, avevo altro per la testa. È sempre dopo che ti godi le cose, mai durante».
Soffre sempre di claustrofobia?
«L’ho combattuta e l’ho vinta. Perché prima viene la paura e poi il panico. Ma noi possiamo controllare quello che ci passa per la testa. Io non sono un temerario, un drogato di adrenalina, volevo volare, questo sì, ho sempre avuto questa passione, ma non avrei mai sopportato l’idea di schiantarmi davanti agli occhi di chi mi vuole bene».
Sicuro che non si stancherà della normalità?
«Ancora devo assaggiarla, sono quasi sempre in tour e vengo da anni in cui mi sono imposto disciplina, allenamento, gestione di molte cose. Un momento per avere paura non l’ho mai avuto perché dovevo controllare tanti dettagli. Lo chiesero anche ad Armstrong e lui rispose come me: ero troppo impegnato per spaventarmi. Magari sì, un po’ preoccupato».