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 2013  marzo 12 Martedì calendario

REPORT SUGLI SPRECHI DELLA SEDE NAZIONALE. MATTEO AGITA IL PARTITO

Qualcuno fornisce spiegazioni dettagliate e chiede una smentita della notizia. Qualcun altro preannuncia querela. Solo nel tardo pomeriggio il diretto interessato, il sindaco di Firenze Matteo Renzi, spiega «nessun dossieraggio, se ci sono battaglie politiche da fare, uno le fa dicendo le cose in faccia».

Mentre resta delicatissimo il rapporto tra Pd e Movimento 5 Stelle, e fondamentale per portare a casa una qualche forma di collaborazione resta la questione dei rimborsi elettorali che Grillo vorrebbe azzerare, nuove tensioni esplodono tra il rottamatore e il suo partito proprio sul tema delle spese del partito. Una polemica che nasce da un articolo di ieri del «Corriere della sera», secondo cui Renzi avrebbe fatto fare a un «amico» uno studio sulla situazione del Pd. Con tanto di indicazioni sul numero di dipendenti – più o meno 180, si legge, tra tempo determinato e indeterminato – e sugli stipendi (si parla di circa 3500 euro per i componenti della segreteria) che lo avrebbero lasciato di stucco. Convinto, come da tempo sostiene, della necessità di abolire i rimborsi pubblici ai partiti. E quindi abbassare al massimo le spese.

Apriti cielo. Passare dal più neutro termine di «studio» al più minaccioso «dossier», il passo è breve: e infatti, così lo interpretano i dirigenti del partito citati nell’articolo. «Non voglio credere che Renzi si sia messo a commissionare dossier sui compagni di partito, sono certo che smentirà», ripete Matteo Orfini, neodeputato e responsabile Cultura del Pd, uno dei più attivi fra i «Giovani turchi», quando, nel primo pomeriggio, arriva all’Assemblea dei gruppi. Sul suo blog ha già spiegato: guadagna circa 3300 euro al mese (netti), si muove in metro, vive in un quartiere periferico di Roma in una casa di proprietà della compagna. «Non c’è bisogno di dossier: per saperlo bastava chiedere», sottolinea.

Risponde anche Antonio Misiani, tesoriere del partito «a titolo gratuito come tutti i parlamentari che hanno incarichi nel partito», per dire che «il Pd nazionale ha ridotto le proprie spese del 30%, il nostro organico è inferiore del 40% rispetto a quello di Ds e Margherita a fine 2007» con «le retribuzioni dei dipendenti bloccate da anni».

Più energica la reazione della presidente del partito, Rosy Bindi, che con il sindaco di Firenze ha da tempo un rapporto conflittuale: in una nota, annuncia che querelerà per diffamazione il «Corriere», visto che «nessuno dei miei collaboratori, compresa la portavoce, è mai stato dipendente del Pd o di altri partiti, ho sempre provveduto con le mie indennità».

Renzi fino al tardo pomeriggio non parla. I renziani sono compatti a rifiutare la parola «dossier». «Una semplice battaglia politica a viso aperto», la definisce la fedelissima Simona Bonafè, ricordando la loro proposta di far sì «che tutte le spese di tutti partiti siano rendicontabili voce per voce e fattura per fattura online».

«Nessun dossier, sono numeri vecchi, già noti», minimizza Luca Lotti, neodeputato e, ancora per pochi giorni, capo di gabinetto del sindaco. Che, a margine del Consiglio comunale, alla fine interviene: «Penso sia un discorso di serietà il fatto che finché c’è finanziamento pubblico, i partiti rendano trasparenti on line le singole voci di spesa», spiega. «Sono uno di quelli che, non da ora, non dalle primarie, ma addirittura dalla Leopolda, propone di abolire il finanziamento pubblico ai partiti, di dimezzare il numero dei parlamentari e di rendere trasparenti tutte le spese». Ma il Pd costa troppo? «Quando metteranno on line tutte le spese potrò rispondere». L’argomento, evidentemente, non è ancora chiuso.