Ermanno Bencivenga, il Sole 24 Ore 10/3/2013, 10 marzo 2013
EQUAZIONI A WALL STREET
Supponiamo di voler prevedere il corso futuro del mercato azionario. Sappiamo che i prezzi saliranno se ci saranno buone notizie (se aumenterà l’occupazione, diminuirà il debito pubblico) e scenderanno se le notizie saranno cattive. Qual è dunque oggi l’ipotesi più plausibile in base alla quale investire e speculare? Il matematico francese Louis Bachelier, in una tesi completata nel 1900 alla Sorbona sotto la direzione di Henri Poincaré e intitolata Théorie de la spéculation, fornì una risposta apparentemente insensata: conviene procedere assumendo che i prezzi si muoveranno in modo del tutto casuale, seguendo la distribuzione "normale" di una curva a campana di Gauss. Perché? Perché le informazioni oggi disponibili su come andranno i prezzi domani sono già presenti sul mercato e hanno già avuto modo di esercitare il loro influsso: i prezzi che le azioni hanno oggi già le riflettono. A tutti gli effetti, è come se sul futuro non avessimo nessuna (nuova) informazione pertinente: come se dovessimo decidere che cosa puntare in un gioco di testa o croce.
È la prima tappa di The Physics of Wall Street, una storia delle applicazioni finanziarie della matematica (più che della fisica, anche se spesso sono dei fisici a farsene protagonisti) scritta da James Owen Weatherall. Le credenziali dell’autore sono notevoli (un dottorato in fisica, un altro in filosofia e un master in scrittura creativa), ma le qualità migliori del libro sono quelle del buon giornalismo all’americana: chiarezza espositiva, felice uso di esempi, scrittura accattivante. Quel che un buon giornalista ci avrebbe risparmiato sono le pagine in cui Weatherall tenta una debole difesa d’ufficio dell’uso speculativo della scienza («Qualsiasi strumento può essere usato per gli scopi più diversi - un martello può servire per infilare un chiodo o per rompere il finestrino di un’automobile»); meglio lasciarle perdere e seguire la storia, da cui c’è molto da imparare.
Il modello di Bachelier, per quanto rivoluzionario, era legato alle particolari (e particolarmente stabili) condizioni della Borsa parigina dell’epoca. Nel 1959 Maury Osborne, ripercorrendo indipendentemente lo stesso territorio, apportò una prima correzione: non sono i prezzi a variare a caso ma i tassi di profitto. Qualche anno dopo Benoit Mandelbrot, lavorando su dati tratti dal mercato del cotone, modificò ulteriormente la situazione. In una campana di Gauss, le "code" (cioè le estremità) sono molto sottili: tendono a zero. Per Mandelbrot, l’inventore dei frattali e uno dei primi esploratori dell’infinita, irriducibile complessità del reale, le code sono invece più spesse: eventi estremi, molto lontani dalla media, accadono di frequente, più di quanto si vorrebbe o ci si aspetterebbe. A questo punto non il semplice caso, nella versione addomesticata della curva normale di Bachelier, ma una struttura irrimediabilmente e incontrollabilmente caotica, nel senso della teoria del caos, entrava nel mondo della finanza.
Quale contributo ha dato la matematica (o la fisica) nel gestire questo caos? Weatherall discute due esempi. Disponendo di computer molto potenti, si può imitare la Prediction Company di Farmer e Packard: identificare dei pattern (delle nicchie di ordine e regolarità) nel rumore caotico di fondo e scommettere su quelle, scoprendo (diciamo) che due azioni hanno un comportamento coordinato e quindi se una sale e l’altra ritarda a salire conviene affrettarsi a comprarla. Prima o poi se ne accorgeranno anche altri, «ma se siete la prima persona ad accorgersene» potrete realizzare un buon profitto. L’altro esempio è quello del fisico francese Didier Sornette: avendo riscontrato che catastrofi di ampia portata come un terremoto sono precedute da turbolenze minori ma sempre più ravvicinate, applicò lo stesso principio al mercato finanziario, prevedendo con un paio di mesi d’anticipo il crollo delle Borse nell’ottobre 1997. In quel caso, il mercato si riprese immediatamente e «le azioni il 29 ottobre valevano più o meno lo stesso che il 26» (il crollo fu il 27); ma intanto Sornette aveva investito tutto quel che aveva su opzioni al ribasso e aveva guadagnato il 400% in poche ore.
Il che ci porta al problema che questo libro illustra con dovizia di dettagli, senza peraltro trarne un’opportuna morale. Uno dei suoi eroi è Edward Thorp, un professore di matematica che scoprì un metodo per contare le carte a blackjack, si presentò a Las Vegas con un computer che gli permetteva di calcolare il movimento della pallina della roulette (trasmettendoglielo mediante un auricolare) e infine, convintosi che il mercato finanziario non era che un gigantesco casinò, si dedicò con enorme lucro ai fondi d’investimento. È facile simpatizzare con eroi del genere, almeno finché si limitano a giocare d’azzardo: li si vede come dei Robin Hood in lotta con Sceriffi di Nottingham (i padroni del casinò) che vincono sempre e chissà in quali loschi traffici sono implicati. Ma nel casinò di Wall Street si può vincere solo quel che altri cittadini perdono e, se qualcuno è tanto «più furbo della concorrenza» (o tanto più matematicamente dotato) da realizzare l’80% di profitto annuo in periodo di recessione (come Renaissance Technologies nel 2008, ci informa ammirato Weatherall), questo vuol dire che le amministrazioni pubbliche, i fondi pensione e i risparmi da cui dipende il benessere di quei cittadini avranno sofferto di più per il guadagno che alcuni scaltri pescecani sono stati in grado di ottenere anche in quel periodo. Non è una risposta dire che «chi guida le economie nazionali dovrebbe essere tanto bravo quanto Renaissance»: se qualcuno fosse davvero così bravo, alcune nazioni saprebbero meglio arricchirsi a spese di altre. Capire il mondo, incluso il mondo della finanza, è certo un bene; in ciò la matematica è di grande aiuto, e lo è anche questo libro. Poi il mondo, però, bisognerebbe provare a cambiarlo, se è il caso usando la matematica in altro modo.