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 2013  marzo 10 Domenica calendario

MANN E ALTRI IMPIEGATI MODELLO

«La poesia non mi è stata molto utile nella carriera bancaria, tuttavia il mio impiego mi ha permesso di scrivere poesie», ammetteva T.S.Eliot. Inappuntabile, «riservato, con le spalle un po’ curve», sembrava vivere in un altro mondo e poteva interrompersi a un tratto per precipitarsi a notare un’idea. Eppure non era insensibile alla «scienza del denaro», e in fondo la routine lo aiutava a regolare la sua esistenza.
«Letteratura e burocrazia: il diavolo e l’acqua santa… eppure i due mondi sono più vicini di quanto si potrebbe pensare», asserisce Vandelli in questo vasto e gradevole saggio. Scrittura e burocrazia hanno in comune la capacità di passare ore seduti a una scrivania, concentrandosi sui propri compiti. Certo valeva non per lo spedizioniere municipale Paul Verlaine, che, arrivava tardi, guardava perplesso le carte inevase e si metteva a leggere il giornale, limava un sonetto o usciva di soppiatto lasciando il cappello in bella vista. Al caffè lo aspettavano gli amici e il verde invitante dell’assenzio.
Per diventare un impiegato modello, Léon Bloy aveva scelto un alberghetto vicino al luogo di lavoro. Però già dopo una settimana il clima pigro dell’ufficio aveva attenuato il suo attivismo. Nelle lunghe ore d’ozio, si discuteva di politica e d’arte e Bloy si era fatto notare recitando con foga le poesie di Victor Hugo. Ma la vera vita, le amicizie, gli incontri con le passeggiatrici, restava fuori da quelle mura.
«Ero costretto in certi momenti a distrarmi, perché in un paesino come Manosque, la banca non è sempre piena di clienti. Ci sono dei lunghi momenti in cui non c’è niente da fare. È così che ho cominciato a scrivere.», ricordava Jean Giono, entrato in banca come fattorino a sedici anni, dopo la morte del padre. Passato alla contabilità in un ufficio sotterraneo – «Ha una buona disposizione, sarà un bravo impiegatuccio» – fantasticava sui nomi dei luoghi delle pratiche. Ma si lamentava: «Ho sedici anni e sono già rinchiuso tra due lastre di scisto dove poco a poco diventerò un fossile».
Thomas Mann entrò a diciottanni come apprendista nella ditta di assicurazioni di un amico di famiglia. Mentre i colleghi stavano chini sui fogli, lui aveva scritto il suo primo racconto, giocando con la sedia girevole. Meno di un anno dopo se ne era andato. Italo Svevo doveva restare diciannove anni in banca senza riuscire ad abituarsi alle rigidezze dell’orario e alle sorde lotte interne. Tuttavia era riuscito a diventare un impiegato «preciso e coscienzioso», lontano dalle intemperanze descritte in «Una vita». Modesto funzionario al ministero della Marina, Raymond Chandler registrava con cura gli spostamenti di materiale bellico. «Mi dicevo che forse gli orari accomodanti dell’amministrazione mi avrebbero permesso di scrivere di nascosto». Ma l’impegno era pesante e «l’idea di alzare il cappello al passaggio del capoufficio mi dava la nausea».
Guy de Maupassant, non volendo fare carriera, preferiva restare nell’ombra. Passare dal ministero della Marina a quello della Pubblica istruzione non aveva risolto i problemi di Guy di «salute delicata malgrado l’aria robusta». Un congedo trimestrale per nevrastenia, disturbi di cuore e di stomaco preparò la sua uscita di scena.
Disperato del suo impiego noioso e malpagato ai Docks della dogana, Zola aveva degli attacchi di panico. Sembrava non sentire le spiritosaggini dei colleghi. Compilava i rapporti senza riuscire a concentrarsi sul lavoro, pensandp solo al momento in cui sarebbe uscito da quelle stanze sporche. La madre di Paul Valéry era entusiasta di quell’impiego al ministero della guerra. Per Paul era diverso. «Ormai ogni mia idea sarà dominata da questa: uscire di qui». Infatti il lavoro era faticoso e si chiedeva angosciosamente: «Dovrò morire da impiegatuccio?».
Franz Kafka, alle Assicurazioni Generali, si sentiva a disagio con i rozzi colleghi. «C’era un punto in un breve corridoio davanti all’ufficio, in cui ogni mattina ero assalito da una disperazione che per un carattere più forte e più coerente sarebbe stata più che sufficiente a indurre a un suicidio». Come trovare spazio per la scrittura? O il lavoro era soltanto un alibi per rinviare? Ma il superiore non aveva dubbi: «Instancabile, assiduo, ambizioso, egregiamente utilizzabile, il dottor Kafka è di straordinaria operosità e di grande zelo nell’adempimento del lavoro».