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 2013  marzo 10 Domenica calendario

PER VARSAVIA L’EURO PUÒ ATTENDERE

L’euro può aspettare, Varsavia si terrà stretto il suo zloty ancora per molti anni. Di rinvio in rinvio, l’ingresso nel club della moneta unica rischia di slittare addirittura al 2020.
E dire che il changeover sarebbe dovuto avvenire l’anno scorso, ma la crisi dell’Eurozona ha convinto il premier liberale Donald Tusk a cambiare i suoi piani. Nel frattempo, il consenso per l’euro tra i polacchi non ha fatto che scendere. Se infatti viaggiava attorno al 60% nel 2009, ora solo un terzo dice di essere favorevole. Anche la Banca centrale ha sollevato perplessità, avvisando che un ingresso prematuro potrebbe mettere inutilmente a rischio l’economia. Tusk ne ha preso atto e verso la metà di febbraio ha detto senza mezzi termini che Varsavia rinuncerà allo zloty solo quando sarà pronta «al 100%» e comunque non prima aver costruito il necessario consenso.
Un percorso tutto in salita. Per adottare l’euro, tra le altre cose, Varsavia deve modificare la propria Costituzione che assegna alla Banca centrale il potere di stampare moneta. Per cambiare la Costituzione servono i due terzi dei 460 seggi della Camera. Con il maggior partito di opposizione, Legge e giustizia, e un’altra formazione di destra nettamente contrarie, oggi qualsiasi proposta di riforma verrebbe bocciata, anche se per pochi voti.
Per questo, sia Tusk che il presidente della Repubblica Bronislaw Komorowski hanno affermato che una data non sarà fissata prima delle elezioni del 2015, nella speranza che dalle urne esca un Parlamento diverso. Speranza abbastanza tenue, perché il Partito liberale è in flessione nei consensi e le elezioni potrebbe anche perderle. Vada come vada il voto, inoltre, Legge e giustizia è determinata a lanciare un referendum popolare sull’adesione all’euro.
Anche nella migliore delle ipotesi, secondo il capo economista di Nordea Bank, Piotr Bujak, bisognerà aspettare fino al 2017, «ma io credo che si arriverà al 2018-2020». Dopo aver fissato una data per il passaggio all’euro, la Polonia dovrà infatti rimanere due anni nell’Erm-2, come tutti i candidati. In questi 24 mesi dovrà tenere stabile il tasso di cambio, evitando volatilità eccessiva. Gli altri requisiti necessari per entrare nell’Unione monetaria sono invece alla portata. Il debito pubblico è al 55,5% e il deficit è stato portato dal 7,9% del 2010 al 3,5% l’anno scorso e scenderà al 2,5% l’anno prossimo, secondo i piani di Varsavia.
Il Governo Tusk preferirebbe chiudere la pratica in tempi più brevi, soprattutto perché teme di non poter partecipare a pieno titolo al processo che sta rafforzando le istituzioni comuni, a partire dall’Unione bancaria. Allarme ribadito il 3 marzo dal ministro delle Finanze Jacek Rostowski durante un dibattito televisivo sul tema. Mentre lo stesso governatore della Banca centrale, Marek Belka, ha riconosciuto che le riforme necessarie per adottare l’euro porteranno solo vantaggi.
Del resto, star fuori dalla moneta unica non protegge più l’economia. La Polonia, unico Paese Ocse ad aver evitato la recessione nel 2008, ormai ha perso smalto e ha archiviato il 2012 con una crescita del 2 per cento. Un miraggio per economie come Italia, Spagna o Francia. Troppo poco per Varsavia, che nutre l’ambizione di colmare in fretta il gap con i partner più forti. Per sostenere l’economia, la Banca centrale ha tagliato i tassi cinque volte da novembre (l’ultima risale al 6 marzo), portandoli dal 4,75 al 3,25%, minimo storico. Anche così, la disoccupazione ai massimi dal 2007 (al 14,2%) abbatte i consumi, che rappresentano il 62% del Pil. Solo l’export, per quanto in frenata, tiene il Paese su un sentiero di crescita. Nell’ultimo trimestre del 2012, il prodotto interno lordo è avanzato dell’1,1%, il passo più lento dal 2009. Per quest’anno si prevede una crescita dell’1,2%, il risultato "peggiore" dal 2001.
Per Varsavia, l’euro non è nemmeno una scelta del tutto libera. A differenza di Regno Unito e Danimarca, che hanno deciso di restare fuori, la Polonia e i Paesi dell’ex blocco sovietico entrati nell’Unione europea si sono impegnati ad adottare la moneta comune. Non sono state fissate date, ma l’accordo è che spediscano in soffitta le proprie valute una volta raggiunti i criteri di Maastricht. Già da quasi 10 anni queste economie, oltre a ricevere la gran parte dei fondi strutturali erogati da Bruxelles per lo sviluppo delle economie più arretrate, fanno leva sul minor costo della mandopera e sul cambio flessibile per esportare proprio nei mercati dell’Eurozona. Un doppio vantaggio competitivo: al secondo, prima o poi, dovranno rinunciare. Slovenia, Slovacchia ed Estonia lo hanno già fatto. La Lettonia lo farà l’anno prossimo e la Lituania punta a entrare nel 2015. Varsavia può rimandare l’appuntamento, ma non per sempre.

Gianluca Di Donfrancesco


MA LA LETTONIA HA PRENOTATO UN POSTO –
Ventidue anni fa avevano dovuto imparare a trasformarsi, da un giorno all’altro, in un mercato libero: «Il golpe in Urss - diceva il ministro dell’Economia Janis Aboltinsh nell’agosto ’91, i primi momenti euforici dell’indipendenza lettone - ha spezzato all’improvviso la corda che ci legava a Mosca, così ora corriamo il rischio di cadere». E caddero, un’economia ridotta a metà dalla chiusura dei grandi e vecchi stabilimenti sovietici.
Poi, dopo l’ingresso nella Ue del 2004, l’esplosione della bolla del credito nel 2008 fece precipitare la Lettonia in una recessione durissima, superata a un prezzo enorme di impieghi perduti e tagli di spesa, ma senza mai mettere in dubbio l’obiettivo finale, l’euro, a cui il lats - la moneta locale - è agganciato dal 2005. Niente svalutazioni, dunque, se non quella interna fatta di salari ridotti e licenziamenti e tasse. Il primo ministro Valdis Dombrovskis, appena 42enne, riconfermato malgrado i sacrifici imposti. Non c’è da stupirsi se le difficoltà delle economie europee non spaventano la Lettonia, temprata dalla storia e dall’austerity, fedele all’euro nella buona e nella cattiva sorte. Sulla scia dell’Estonia e con un anno di anticipo sull’altro ex satellite sovietico del Baltico, la Lituania. La settimana scorsa il Governo di Riga - una coalizione di centro-destra - ha presentato a Bruxelles la richiesta formale di adesione all’Eurozona, il verdetto arriverà tra maggio e giugno. Per entrare il 1° gennaio 2014.
In un momento come questo, di fronte al raffreddamento di polacchi, cechi e ungheresi, la determinazione dei baltici scalda il cuore dei dirigenti comunitari. «La Lettonia è un buon esempio di come si supera la crisi», ha detto il commissario Ue agli Affari economici e monetari, Olli Rehn. Bce e Commissione europea valuteranno ora la compatibilità tra l’economia lettone e i requisiti richiesti dal Trattato di Maastricht, ma le carte sono in regola perché dal profondo di un crollo del 25%, dopo un anno e mezzo l’economia lettone ha ripreso a risalire fino a diventare la migliore tra le 27 della Ue, +5,5% nel 2012. Divenute più competitive per il calo del costo del lavoro, le esportazioni ripartono, il bilancio si è riassestato al punto da poter rimborsare in anticipo i prestiti concessi nel 2009 da Ue e Fmi, 7,5 miliardi di euro. Il 2013 prevede un deficit all’1,1% del Pil e il debito al 41%, per il 2012 l’inflazione media è scesa al 2%. La disoccupazione, ancora troppo alta, è però passata dal 20,4% nel 2010 al 14,2%.
Se non scendono in piazza a protestare, i lettoni però non sono entusiasti all’idea dell’euro. Il timore più grande è un aumento dei prezzi, mentre l’estrema destra anti-global dipinge l’Unione europea come la degna erede dell’Unione Sovietica. Anche se poi è tra le fila della minoranza russofona che i "no" all’euro sono i più numerosi.
Ma come nei momenti più bui della crisi, Dombrovskis intende andare dritto per la propria strada. Sottolineando che la piccola e flessibile economia lettone è già abituata all’euro, valuta in cui sono denominati mutui e conti correnti. Lui e il suo ministro delle Finanze, Andris Vilks, ricordano che l’adozione dell’euro incentiverà gli investimenti stranieri, ridurrà i costi di cambio e indebitamento, aiuterà le esportazioni, porterà alle banche il sostegno della Bce. In conclusione, Dombrovskis è convinto che alla fine l’opinione pubblica lo seguirà. Anche perché lassù tra i baltici l’appartenenza alla Ue avrà sempre un significato particolare rispetto agli altri membri dell’Unione: «Noi apparteniamo all’Europa - ama ripetere il premier Dombrovskis - e non a una zona grigia tra Europa e Russia».

Antonella Scott