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 2013  marzo 10 Domenica calendario

TUTTA L’ATTUALITÀ DEL CHICAGO PLAN

Separazione tra banche d’investimento e banche commerciali. No, affatto: mura cinesi tra attività svolte per conto dei clienti e quelle "in proprio". Macché: la banca universale, che fa tutto, funziona benissimo, e non va toccata. Anche perché, a farlo unilateralmente, si rischia di essere schiacciati dalla concorrenza internazionale.
Sì, il tema della struttura del sistema bancario è molto discusso, soprattutto nell’Unione europea. Giustamente, dopo gli scossoni che il sistema creditizio ha dato e ricevuto dal 2007 in poi (e mille altre volte prima). In pochi ricordano però dove nasce l’idea di "separare" le attività delle banche e attribuirle a diverse aziende: quel radicale, e al tempo stesso "liberista", Chicago Plan che, disegnato negli anni 30, non divenne mai legge nella sua interezza, anche se alcune misure furono adottate nel 1933. Tra i pochi che se ne sono ricordati sono stati due economisti del Fondo monetario internazionale, Jaromir Benes e Michael Kumhof, che lo hanno simulato in un modello per l’economia Usa; e hanno trovato che la sua adozione aumenterebbe il Pil del 10%, porterebbe l’inflazione vicina allo zero senza rischi di deflazione, ridurrebbe i cicli economici, azzererebbe i rischi di "corsa agli sportelli" (e quindi la necessità di garanzie statali, che incentivano le banche ad assumere troppi rischi), e farebbe calare debiti pubblici e privati.
L’uovo di Colombo, insomma. Indigeribile, però, per il mondo finanziario, che la subirebbe come un’inesplicabile imposizione, anche se compiuta... in nome del mercato. Perché il Chicago Plan è radicale, richiede la totale separazione tra attività monetarie e attività creditizie: chi gestisce i conti correnti, insomma, non può fare prestiti. Perché? E come?
Il primo problema che vuole risolvere il piano è proprio la creazione di moneta da parte delle banche, compiuta oggi in modo quasi incontrollato attraverso l’attività creditizia. Un potere enorme affidato ai banchieri, ed esercitato "con un tratto di penna". Ogni mille dollari di depositi, per esempio secondo le regole Usa - che impongono una riserva presso la Fed del solo 10% dei depositi - possono trasformarsi in 900 dollari (mille meno il 10%) di prestiti che creano depositi di uguale importo, da aggiungere ai mille originari; anche questi 900, poi, possono trasformarsi in ulteriori 810 euro (900meno il 10%) di depositi, e così via. Un risparmio di mille dollari, alla fine, crea nuova moneta - i conti correnti sono denaro a tutti gli effetti - e nuovi prestiti per 9mila euro. In Eurolandia, dove la riserva è dell’1%, il credito (e la moneta) massimo totale generato è di 99mila euro su mille. Il gioco naturalmente funziona anche al contrario, quando il risparmio si riduce. Nessuna sorpresa, allora, se il sistema finanziario è prociclico: fa accelerare sia i boom che le crisi, complicando la politica economica.
Secondo il Chicago Plan, invece, il denaro raccolto con i conti correnti non potrebbe essere usato per fare credito e creare moneta; andrebbe investito in moneta, depositi alla banca centrale (o sicuri titoli di Stato a tasso zero). La riserva, insomma, dovrebbe essere del 100 per cento. Tutti i tipi di prestiti dovrebbero essere offerti da altre aziende (investment trust), eventualmente specializzate, con soldi raccolti a questo scopo, attraverso quote azioni o obbligazioni o altri strumenti. Le banche, spiegano Benes e Kumhof, «dovrebbero diventare quello che molti, sbagliando, credono siano già: puri intermediari la cui attività dipende dalla capacità di trovare finanziamente esterni prima di essere capaci di far credito». Con questo sistema si ridurrebbe anche quello che è il principale problema del settore creditizio attuale, il disallineamento tra la durata dei debiti e dei prestiti: i conti correnti possono essere estinti "a richiesta", ma i mutui e prestiti alle aziende che finanziano sono immobilizzati per tempi lunghi, a volte lunghissimi. Le corse allo sportello non sarebbero un problema, le banche ridurrebbero i rischi di insolvenza, i risparmiatori conoscerebbero i rischi che si assumono investendo in questo o quel "veicolo", i governi non dovrebbero predisporre garanzie sostenute, in ultima istanza, dai contribuenti.
Nessuno dei proponenti era sospettabile di simpatie stataliste. Anzi: stiamo parlando della prima scuola di Chicago, animata da Frank H. Knight, Aaron Director, e soprattutto Henry C. Simons, un economista fuori dagli schemi, che scrisse gran parte del piano. Di sé, Simons diceva di essere liberista (all’americana "libertarian"), ma Milton Friedman, il fondatore della "seconda" Scuola di Chicago, gli negò questa etichetta: i monetaristi non sapevano che farsene di un economista che amava libertà ed eguaglianza - i fondamenti della Dichiarazione di Indipendenza... - distingueva il diritto dallo stato, e soprattutto la libertà economica degli individui da quella delle società (considerate dei "mostri giuridici"), al punto da voler togliere alle imprese il diritto di acquistare azioni (evitando le scatole cinesi) e fare pubblicità (evitando monopoli, o anche la "concorrenza monopolistica").
Il Chicago Plan, in sé, era comunque meno ambizioso: si limitava al sistema finanziario. Si sa cosa accadde. La separazione tra banche commerciali e di investimento divenne rapidamente legge (con il Glass-Steagall Act), l’idea che la politica monetaria dovesse seguire regole e non essere discrezionale si è fatta lentamente strada, ma il divieto di investire il denaro dei correntisti, la riserva al 100%, non è diventato legge. Alla riforma, dunque, è sempre mancato un pezzo. Dopo la crisi del ’37-38 altri economisti, tra cui Fisher, avanzarono di nuovo la proposta, ma senza risultati. Con Bill Clinton, negli anni ’90, anche il Glass Steagall Act fu di fatto abrogato. In Italia la separazione tra credito a breve termine e credito a medio termine - un concetto diverso, in realtà, da quello dello Steagall Act - fu abrogata nel ’94.
L’idea non è morta - economisti iperliberisti di scuola austriaca ne discutono ancora - e la crisi ha spinto a riparlarne, spesso per respingerla: così ha fatto, per esempio, Paul Krugman. Al Congresso Usa giace comunque un disegno di legge. Tra gli economisti, Laurence Kotlikoff dell’Università di Boston, critico delle politiche fiscali (perché creano conflitti tra le generazioni), ha riproposto nel suo libro Jimmy Stewart is dead, (Jimmy Stewart è morto, con un riferimento al banchiere amico di tutti del film La vita è meravigliosa) l’istituzione delle banche a scopo limitato.
La proposta è del tutto simile a quella del Chicago Plan e affida alle banche commerciali il compito di vendere quote dei mutual funds specializzati in mutui, o in polizze vita, o in prestiti alle aziende. Puri intermediari, insomma. Furono evocate nelle primissime settimane della crisi anche dal governatore della Bank of England Mervyn King. Poi più nulla. Tranne nel mondo islamico, il cui sistema finanziario - che malgrado le complessità legate al divieto dei prestiti a interesse è rimasto relativamente isolato dalla crisi - è tutto basato sulle riserve al 100 per cento.
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IL PROGETTO
Le origini
L’idea di "separare" le attività delle banche risale agli anni 30 e porta la firma della prima Scuola di Chicago animata da Frank H. Knight, Aaron Director e, soprattutto, Henry C. Simons. Il progetto prevedeva che il denaro raccolto con i conti correnti non potesse essere usato per fare credito e creare moneta, ma dovesse essere investito in moneta
Secondo gli economisti Fmi, Jaromir Benes e Michael Kumhof, l’adozione del Chicago Plan aumenterebbe il Pil del 10%, porterebbe l’inflazione vicina allo zero e ridurrebbe i debiti pubblici e privati.