Andrea Franceschi, il Sole 24 Ore 10/3/2013, 10 marzo 2013
SEMPRE PIÙ BORSE AI LIVELLI PRE-LEHMAN
[In allegato grafico] –
Con la seduta di venerdì scorso, chiusa con un rialzo del 2,64%, il Nikkei 225 di Tokyo si è aggiunto all’elenco degli indici di Borsa che sono tornati ai livelli precedenti al fallimento della Lehman Brothers di settembre 2008, l’evento che ha segnato l’inizio della più grave crisi economico-finanziaria dal dopoguerra.
Buona parte dei maggiori listini (da Francoforte a Londra, da Shanghai a Wall Street) ha già raggiunto questo traguardo. Tra questi manca Piazza Affari che mostra ancora un saldo molto negativo (-42,95%). Questo si spiega soprattutto con la crisi dei debiti sovrani dell’Eurozona che ha colpito duramente i nostri titoli di Stato facendo impennare lo spread. Analoga la spiegazione per il -24,39% di Madrid (-24,39%), per non parlare del -69,38% registrato dalla Borsa di Atene. L’aumento del rischio Paese ha avuto pesanti conseguenze soprattutto sui titoli delle banche. Stando ai dati S&P Capital Iq, i dieci maggiori istituti di credito italiani risultano aver bruciato circa 86 miliardi di euro di capitalizzazione da quel terribile lunedì 15 settembre 2008. Inevitabile il contraccolpo per Piazza Affari, listino in cui le banche hanno il peso maggiore in termini di capitalizzazione.
Viaggiano sopra i livelli pre-Lehman invece Francoforte (+28,01%), Londra (+19,7%) e soprattutto Wall Street. La Borsa americana si è abbondantemente ripresa dallo shock della crisi subprime e continua a mettere a segno record. Il più recente lo ha registrato l’indice Dow Jones che ha toccato un nuovo massimo storico pochi giorni fa ed è in rialzo del 25,8% dal crack Lehman. Un altro indice dalla performance brillante è il Nasdaq che viaggia su livelli di 12 anni fa ed ha guadagnato il 43,25% dal crack della banca.
Tutto bene quindi? Non proprio. Le cicatrici della più grave crisi economica dal dopo-guerra, che proprio dal collasso della Lehman Brothers e dagli eccessi della finanza speculativa ha avuto origine, sono ancora tutte visibili per l’economia. L’Fmi stima che il Pil americano quest’anno crescerà del 2%, numeri non proprio entusiasmanti per la prima economia mondiale. Nonostante i buoni segnali arrivati dal mercato del lavoro poi, il tasso di disoccupazione resta sopra il 7% (era tra il 4 e il 5% nel 2007). La performance di Wall Street, come quella di altre Borse, non è insomma supportata da solide fondamenta macroeconomiche, ma è più il prodotto delle politiche ultraespansive della Federal Reserve.
Per far fronte alla pesantissima crisi di liquidità innescata dal tracollo di Lehman, la Banca centrale americana, a partire dal 2009, ha inondato il mercato di liquidità attraverso maxi-piani di acquisto di titoli di Stato (Quantitative easing). L’effetto di questa manovra è stato un forte appiattimanto dei rendimenti dei Treasuries americani a lunga scadenza un’impennata della Borsa. Cosa succederà una volta che la Fed deciderà di smettere di stampare denaro? Più di un osservatore ha messo in conto una pesante correzione al ribasso degli indici.
Le politiche monetarie sono decisive anche per spiegare la performance della Borsa di Tokyo. Negli ultimi mesi la Bank of Japan, su pressione del nuovo governo di Shinzo Abe, ha reso ulteriormente espansiva la sua politica monetaria. In questo modo ha innescato una fortissima svalutazione dello yen con effetti positivi sul listino, dato che la valuta debole aiuta le quotate giapponesi, da sempre molto orientate all’esportazione. L’effetto cambio è evidente convertendo in dollari la performance da inizio del listino giapponese. Il rally del Nikkei, che ha guadagnato il 18,17% in questi primi mesi dell’anno, si ridimensiona infatti a +6,66 per cento se denominato in valuta Usa.