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 2013  marzo 11 Lunedì calendario

IL PRIMO CENSORE L’OSSESSIONE DEL DUCE PER LE NOTE A MARGINE

L’editoria italiana non ha mai conosciuto un caporedattore così puntuale. E anche così temuto. Arnoldo Mondadori e Valentino Bompiani fecero a gara per omaggiarlo. Perfino autori come Brancati o Pirandello, Moravia o De Céspedes si guardavano bene dal discuterne le correzioni. Ed è lunga la lista dei bocciati, soprattutto se di cognome ebreo. Ma in pochi, quasi nessuno, riuscì a resistergli. E forse neppure ci provò. Non è una pagina esaltante della storia nazionale quella narrata da Guido Bonsaver in questo nuovo libro su
Mussolini censore. Storie di letteratura, dissenso e ipocrisia
(Laterza). La cultura italiana ne esce ritratta nei suoi aspetti più cortigiani e servili, con rarissime eccezioni che però sono quelle di sempre, Gobetti, Croce, Borgese etc. Ricatti incrociati, zelo conformista, lettere piene di incenso anche all’indomani delle leggi razziali. L’autore, che insegna storia della cultura italiana all’Università di Oxford, non ci risparmia nulla, aggiungendo postille velenose a un racconto in parte già conosciuto. Ma che non finisce di sorprendere
per i risvolti inediti che via via affiorano dagli archivi.
Una storia oscura con cui l’intellighenzia ha fatto tardivamente i conti. Così come sul fascismo la società italiana mostra tutt’oggi qualche confusione se è vero che, da Berlusconi alla giovane grillina neo eletta in Parlamento, ancora si distingue tra un Mussolini buono e uno cattivo. Così ben venga il saggio laterziano, che fotografa il Duce come primo censore dell’editoria libraria. Un primato che secondo Bonsaver potrebbe addirittura vantare — per coinvolgimento diretto e per vastità di interessi — anche tra i dittatori di primo Novecento, Hitler Stalin o Franco. Quasi un’ossessione, riconducibile ai suoi trascorsi
editoriali, che per tutta la durata del ventennio sarà coltivata in modo bizzarro e quasi capriccioso. Indipendentemente dal potente apparato censorio messo in piedi dal regime.
Qualcuno ne rimase ucciso, come Gobetti o l’editore ebreo Formiggini, suicida per protesta. Molti piccoli marchi furono costretti al fallimento. E diversi scrittori — soprattutto scrittrici donne come Paola Masino e Alba De Céspedes — scivolarono nella condizione triste di sorvegliati speciali. La svolta avvenne per una copertina, che fece sobbalzare il capo del fascismo: una giovane donna (bianca) perdutamente abbandonata tra le braccia di un
uomo (nero). Era il marzo del 1934, si definivano i piani di invasione dell’Etiopia (messa in pratica l’anno successivo) e questo «amore negro» raccontato dalla scrittrice Maria Volpi appariva del tutto inopportuno. La rabbia si tradusse subito in una circolare (3 aprile 1934) che allertò prefetture e ministro dell’Interno. Ma ancor prima del famigerato Minculpop un ruolo centrale continuò a svolgerlo Mussolini in persona, a cui tutti gli editori si premurarono di fare avere le bozze in anticipo.
Pur di lavorare, furono moltissimi gli scrittori disposti a genuflessioni e piaggerie. Come la stessa De Céspedes, che per di-
fendersi da una campagna diffamatoria accettò di rendere più fascisticamente ortodossa la traduzione cinematografica di
Nessuno torna indietro.
E anche Alberto Pincherle, in arte Moravia, messo al bando per i suoi romanzi «immorali», non si astenne dall’elogiare il suo «esemplare e straordinario Duce» e rivendicare il «sangue puro di sua madre» in lettere servili spedite a Mussolini tra il ’35 e il ’38: lo scopo era quello di continuare la sua collaborazione (sempre più contestata) alla
Gazzetta del Popolo.
Cedimenti e compromissioni che Bonsaver inanella con tono giudicante, ma forse non bisognerebbe mai dimenticare che si viveva sotto
dittatura, e avremmo assistito a molto di peggio in democrazia, quando si potevano perdere cariche e prebende, ma mai la libertà. Tra gli «adulatori per ambizioni di carriera» viene severamente incasellato Vitaliano Brancati, nella prima metà degli anni Trenta. Certo non gli fa onore il «cortese ricatto» mosso a Mondadori, colpevole di rimandare la pubblicazione dei suoi racconti. Secondo la ricostruzione di
Mussolini censore,
lo scrittore lo minacciò di stroncare le pagine di Lawrence appena uscite nelle edizioni Mondadori, «lasciando che fossero i lettori a decidere se fosse giusto o meno mettere ai margini uno scrittore italiano a favore di uno britannico». Era il 1935, l’epoca della fiera opposizione inglese alla guerra italo-etiopica, scoppiata di lì a poco.
Campione di equilibrismo si dimostrò Mondadori che, pur di difendere la sua impresa, era disposto a più di una sottomissione. Una pratica frequente era quella dell’autocensura preventiva, da esibire come medaglia di
fascista, come nel caso del premio Nobel Roger Martin du Gard, prima acquisito e poi lasciato nel cassetto per «il suo carattere pacifista e socialisteggiante ». Sempre cortese ed annuitore, Mondadori riuscì a difendere la sua gallina dalle uova d’oro, Topolino, per cui il Duce nutriva massima diffidenza (ma dopo l’ingresso in guerra degli Stati Uniti, nel dicembre del 1941, il personaggio di Micky Mouse viene sostituito da un personaggio antropomorfo di nome Tuffolino). E soprattutto — suo massimo merito — anche nell’inasprimento censorio dei primi anni Quaranta difese la circolazione di
autori proibiti come Steinbeck. Per tutto il ventennio, sempre con il turibolo in mano ma con la testa rivolta all’affare, tempesterà Mussolini con le richieste più improbabili, come quella di scrivere lui, dittatore del fascismo, la prefazione del
Che fare?
di Lenin. Richiesta naturalmente declinata.
Eguale talento mostrò il suo rivale Bompiani, editore di Hitler ma anche degli odiati americani. Quanto al
Mein Kampf,
non solo con un paio di sforbiciate ne fece un bestseller, ma colse l’occasione d’una storica visita del Führer in Italia, nel maggio del 1938, per una delle più riuscite operazioni di marketing nella storia dell’edifiero
toria italiana. Tutte le librerie d’Italia esibirono trionfali la locandina pubblicitaria del libro con la fotografia di Mussolini e Hitler e la gigantesca scritta
«Willkommen! »
, benvenuto. Fu uno straordinario successo di vendite, quindici ristampe in cinque anni. E in fondo era quello che contava. Ma l’atto che Bonsaver non gli perdona è la lettera di «commossa gratitudine» inviata al Duce per «il prezioso dono» appena ricevuto: l’agognata fotografia con dedica, da esibire sulla parete dello studio. La missiva porta la data del 19 novembre 1938, pochi giorni dopo le leggi razziali.
Qui entriamo nel capitolo più torbido, che investe la viltà mostrata
dalla quasi totalità degli editori italiani (e dell’accademia nazionale). Tra le poche eccezioni figura Giovanni Laterza, che rispose in modo irriverente alla richiesta di schedare autori e redattori ebrei. Per il resto la bonifica del catalogo venne accettata senza proteste, anche se poi i prefetti difettarono nei controlli e qualche libro proibito continuò a circolare.
Un dettaglio però fa riflettere. Nella valigia di Mussolini, quella che portava con sé al momento della fucilazione, venne trovato un telegramma di Arnoldo Mondadori, scritto dopo il 25 luglio del 1943. Era indirizzato non a Mussolini ma al nuovo capo del governo Badoglio, al quale l’editore si affrettava a rendere i suoi servigi. Ma il generale, si sa, il 9 settembre dovette abbandonare di gran corsa Roma e il telegramma finì non si sa come nelle mani di Mussolini, che lo tenne con sé nell’ultimo viaggio. Fino alla fine caporedattore unico dell’editoria italiana.