Marco Roncalli, Corriere della Sera 11/03/2013, 11 marzo 2013
CONCLAVE, IL RUOLO EFFIMERO DEGLI ORDINI
Si dice che la Chiesa respira soprattutto nei nuovi Movimenti, talvolta capaci di rideclinare carismi ancor vivi negli Ordini religiosi sorti nel tempo. Non pochi i cardinali affascinati da ciellini — o cielleini, come diceva padre Turoldo —, focolarini, santegidini, neo-catecumenali, carismatici… Non pochi quelli affezionati ai meeting più diversi. Più rare le voci di dissenso sui rischi di divisioni o parallelismi che poche analogie trovano fra le più rassicuranti e radicate Congregazioni religiose. Al di là delle opinioni sul valore o la data di questa fotografia, sorge una domanda: come si esprimono queste realtà nelle ore che stiamo vivendo? Assistiamo ad un dinamismo che è solo orante oppure interessato? E a dirla tutta: è un potere vero quello loro attribuito alla vigilia del Conclave?
Parole ricorrenti da campagne elettorali- ne vanno infatti sottolineando un ruolo silenzioso e determinante, non scevro da capacità di pressioni e alleanze. Ma è davvero così? Questa non è l’attesa sul voto politico dei cattolici… E allora? Non si tratta, tutt’al più, di investimenti reciproci, nati nel segno di fiduciose amicizie che hanno già costruito vicendevoli punti di riferimento? Investimenti valoriali, si capisce, che consentono non dividendi, ma maggior serenità per il futuro. Insomma è un conto dire che possa esserci stata — e possa ripetersi — una certa influenza dell’Opus Dei (ma qui parliamo di una prelatura personale che fra l’altro arriva con un solo elettore in conclave, Cipriani Thorne), un conto fantasticare circa pacchetti di voti controllati da questo o quel movimento fuori dalla Sistina.
Procediamo per gradi. Dove o su chi graviterebbero gli sforzi presunti che in queste ore coinvolgerebbero gli Istituti religiosi e quasi tutti i Movimenti? (Quasi, perché i Legionari sono citati solo per i misfatti del loro fondatore, già in rapporto con qualche porporato ora bersaglio di fulmini «interdittivi»). I nomi e i numeri ci sono. Quelli dei cardinali appartenenti agli Ordini e quelli vicini ai Movimenti. In qualche caso presenti in tutti e due gli elenchi. Al primo appartengono Schönborn e Dukae, domenicani; Ouellet, sulpiziano; tre francescani minori: Vallejo, Hummes, Fox Napier, e il cappuccino O’Malley; quattro salesiani: Amato, Bertone, Farina e Rodriguez Maradiaga; il gesuita Bergoglio (del quale si dice ancora: «Gli basterebbero quattro anni per cambiare le cose»); lo scalabriniano De Paolis e Boutros Raï, maronita della Beata Vergine Maria (ora assistenti del camerlengo Bertone); Rodé, vincenziano; Terrazas Sandoval, redentorista; George, oblato di Maria Immacolata; Errázuriz Ossa, dei Padri di Schönstatt. Insomma: diciotto persone, voci di un gruppo importante, seppur frammentato, che da O’ Malley a Ouellet e Schönborn esprime più di un favorito per il dopo Ratzinger. Anche se per trovare un papa «religioso» bisogna risalire al 1831, al camaldolese Bartolomeo Cappellari, Gregorio XVI, dopo il quale il cardinale Bernetti coniò lo slogan «né frate, né forestiero».
Sin qui le «famiglie religiose» con alti profili come Maradiaga che nei giorni scorsi ripeteva: «Se esistono le cordate il problema è loro, noi dobbiamo rispondere al Signore non a Movimenti». Continuando con l’altro elenco, ecco i cardinali punto di riferimento di quei Movimenti che si sono irrobustiti con Giovanni Paolo II: laicali sì, ma con tante guide in talare. Vi troviamo Scola, radici in Comunione e Liberazione; Antonelli e Braz de Aviz, focolarini; Dias, Filoni, Cordes, Cañizares, vicini al Movimento dei carismatici. E diversi porporati habitués della Comunità di Sant’Egidio, anche se si ricordano sempre Sepe o Policarpo. Chiusi gli elenchi, si fatica a credere che questi gruppi abbiano la forza di spingere realmente candidati esclusivi. Non fosse altro che per alcuni elementi. Prima per le regole e le prassi di quest’elezione singolare, ben diverse dai percorsi con cui si sono costruite talune «carriere». Poi perché solo impossibili accordi trasversali consentirebbero opzioni sin qui disgiunte. Infine perché chi li dipinge come lobby e think tank al servizio di «pastori» o «curiali», «progressisti» o «conservatori», «ratzingeriani» o «antiratzingeriani» (!), li sopravvaluta. Piuttosto, si muoveranno di più dopo il conclave: perché tutti interessati a sostenere il successore di Benedetto XVI, e ad avere un Papa — detto in sintesi rozza — «favorevole» o almeno «non contrario».
Ma per chi è papabile il legame, ad esempio, con un Movimento è un vantaggio o un limite? La risposta è che in conclave si vota una persona, non una coalizione. Aiuta, ma se ce ne sono le condizioni, il peso del Movimento nel suo grado di presenza e credibilità internazionale. Ma i cardinali elettori votano innanzitutto l’autorevolezza di un uomo: costruita sulle sue virtù, le sue doti, la sua forza spirituale e umana. Quando c’è, non ha bisogno di rivendicazioni e interferenze Come nel 2005, anche questa volta, serviranno almeno 77 voti per trovarla. E avremo — come diceva il cardinal Laurenti entrando nel conclave del 1922 — «il papa che Dio vuole o almeno concede».
Marco Roncalli