Giuliana Ferraino, Corriere della Sera 11/03/2013, 11 marzo 2013
ITALIA REGINA EUROPEA DELLE DISUGUAGLIANZE. COSI’ LA CRISI HA IMPOVERITO LA CLASSE MEDIA
Fino a pochi anni fa il coefficiente di Gini era un indicatore usato soprattutto per mostrare le disuguaglianze nei Paesi del Sud America, come Cile e Brasile. Dopo la crisi economica e finanziaria cominciata nel 2007, però, viene usato sempre più spesso come termometro del malessere sociale e dell’impoverimento della classe media dei Paesi avanzati. Il Nobel Joseph Stiglitz ne ha fatto uno dei suoi cavalli di battaglia (e un libro) per denunciare le disparità crescenti negli Stati Uniti. E nel nostro Paese il tema è stato rilanciato dal Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo che, ispirandosi all’economista americano, mette tra gli obiettivi prioritari del suo programma economico la diminuzione delle disuguaglianze partendo dall’affermazione che in Europa l’Italia è il Paese con più asimmetrie.
Un’esagerazione? Se la ricetta dei grillini per curare il problema è opinabile, l’affermazione è sostanzialmente vera, purtroppo. Non solo il coefficiente di Gini in Italia è sopra la media Ue, ma dal 2008 in poi è tornato a crescere e oggi risulta più alto dei grandi Paesi vicini con cui siamo soliti confrontarci, come Francia e Germania. Senza parlare della distanza notevole che ci separa dai Paesi scandinavi, che sono invece i più egualitari del pianeta.
Ma come funziona esattamente? Il coefficiente deve il suo nome allo statistico italiano Corrado Gini che lo introdusse per misurare la disuguaglianza di una distribuzione, quindi anche la concentrazione del reddito e della ricchezza. È una scala che va da 0 a 1. Zero significa che non ci sono disparità e tutti sono uguali; 1 indica che una sola persona prende tutto, perciò la disuguaglianza è massima. Talvolta (grafico sopra) si preferisce usare la scala da 0 a 100, ma la sostanza non cambia.
Ecco i numeri. In Italia il coefficiente di Gini nel 2011, secondo gli ultimi dati pubblicati a metà febbraio da Eurostat, era pari a 31,9, oltre un punto percentuale il valore della media dei 27 Paesi Ue (30,7). In Germania era pari a 29, in Francia a 30,8. Ma osservando la serie degli ultimi dieci anni si scopre come la crisi economica e finanziaria, portando alta disoccupazione e pesanti misure di austerità, abbia influito anche nella distribuzione del reddito e rappresentato un’inversione di tendenza. Dal 2004, quando l’indice italiano segna un valore del 33,2, il coefficiente di Gini diminuisce progressivamente, anno dopo anno, fino al 2008, quando scende fino a quota 31. Poi dal 2009, in piena crisi, invece torna a crescere.
La tendenza è ancora più impressionante in Francia, che allo scoppio della crisi, nel 2007 presenta un coefficiente di Gini pari a 26,6. L’anno dopo l’indicatore balza a 29,9 per poi crescere fino a 30,8 nel 2011.
Anche la Germania, che con il suo «socialismo di mercato» è sempre stata considerata tra i Paesi più attenti alla distribuzione del reddito nell’Europa continentale, paga pegno. Il trend tedesco però ha tempi sfasati con il resto d’Europa. L’annus horribilis è il 2007, quando il suo coefficiente di Gini raggiunge quota 30,4 (era 26,1 nel 2005). Ma torna a scendere anno dopo anno, anche se nel 2011 resta a 29.
Stanno peggio i Paesi più colpiti dalla crisi, come Spagna (34), Portogallo (34,2) e Grecia (33,6), ma già partivano da disuguaglianze più marcate. Come il Regno Unito, ad esempio, che nonostante la crisi oggi presenta un po’ meno disuguaglianze del 2002. I Paesi più egualitari si confermano Svezia (24,4) e Finlandia (25,8), mentre la Norvegia (che non fa parte della Ue) fa ancora meglio (22,9). Ma gli ultimi anni di crisi hanno segnato un peggioramento della distribuzione del reddito anche a Stoccolma, che peggiora di oltre due punti rispetto al valori del 2002. Un caso a parte è la Lettonia, la piccola repubblica baltica che nei giorni scorsi ha chiesto di entrare nell’Eurozona, nel 2006 aveva il più alto coefficiente di Gini in Europa, pari a 39,2. Nel 2011, a dispetto della crisi, è riuscita a scendere a 35.4.
E il resto del mondo? Il record della disuguaglianza, secondo le statistiche più aggiornate della Banca mondiale e dall’Ocse, spetta a Paesi come il Sud Africa che, dopo l’abolizione dell’apartheid, presenta un coefficienti di Gini di oltre 60 punti. O il Brasile che, nonostante le politiche di Lula, ha ancora molta strada da fare visto che il suo indicatore è superiore a 50 punti. O la Nigeria. La cosa più sorprendente, però, è che gli avanzati e tecnologici Stati Uniti hanno un coefficiente di Gini oltre lo 0,4, in aumento e sempre più vicino a quello cinese (0,47 per il 2012 secondo Pechino).
Giuliana Ferraino