R. Zuc., Corriere della Sera 11/03/2013, 11 marzo 2013
VOTARE A GIUGNO? IMPOSSIBILE (O QUASI) —
Teoricamente possibile. Ma difficilmente praticabile. In altre parole, il voto «anticipatissimo», che in questi giorni è sulla bocca di tutti, quello che vedrebbe gli italiani tornare alle urne entro il mese di giugno, rischia di risultare solo un bluff, per chi lo usa strumentalmente, oppure una gaffe per chi non conosce i tempi dettati dalla Costituzione. Perché è realizzabile solo con una successione cronometrica degli eventi, che le attuali difficoltà politiche non consentono al momento di pronosticare. Qualche chance in più ha il mese di luglio (ma memori del celebre, craxiano, «tutti al mare») ha controindicazioni metereologiche, molte più possibilità ha l’autunno, ma ovviamente con un «governo balneare» riveduto e corretto, il «governo di scopo» di cui si è parlato ugualmente in questi giorni.
Se si mette da parte la politica, che resta però è il fattore determinante, e si fa un ragionamento tecnico solo sui tempi, le cose stanno in questo modo. Il prossimo venerdì, 15 marzo, si riunisce per la prima volta il nuovo Parlamento e si procede all’elezione dei presidenti di Camera e Senato, nonché alla costituzione dei gruppi parlamentari. Il 19 cominciano le consultazioni del Quirinale. È solo sulla base di un loro fallimento nella sostanza (con tutte le sue varianti) che si può ipotizzare di tornare al più presto alle urne. Ma dato che Giorgio Napolitano non può sciogliere le Camere, essendo a fine mandato, occorre attendere l’elezione del nuovo Presidente.
Quest’ultima avverrà a partire dal 15 aprile, ma — ed è forse l’ostacolo più rilevante — senza che nessuno sappia quanto durerà. «Basta pensare — ricorda il costituzionalista Augusto Barbera — che per in passato in alcuni casi, mi ricordo quello di Scalfaro, si sono dovute attendere due settimane o anche di più». Ma anche ipotizzando un’elezione fulminea (lo stesso 15 aprile), il nuovo presidente (sempre che Napolitano, il cui mandato termina formalmente il 15 maggio, si dimetta subito) dovrebbe, dopo il giuramento, prendersi almeno qualche giorno per nuove consultazioni, necessarie per verificare ancora una volta la sussistenza (o meno) di un possibile accordo per la formazione di un governo. E quindi si arriva verso la fine di aprile.
Poniamo che il nuovo capo dello Stato, a questo punto, non possa che certificare un secondo fallimento di ogni opzione politica da parte dei partiti consultati e decida di sciogliere le Camere, potrebbe indire le elezioni non prima di 45 giorni e non dopo 70, come prevede la Costituzione. Quindi tra metà giugno e la prima decade di luglio. Ma ciò, occorre ripeterlo, se tutto dovesse procedere a ritmo accelerato, cosa improbabile data l’incomunicabilità politica a cui stiamo assistendo e i dubbi estremi che si profilano già di fronte alla prima elezione strategica, quella della presidenza del Senato. «Vedo il voto a giugno pressoché impossibile — commenta un altro esperto della materia come Stefano Passigli —, molto più praticabile un governo di scopo, magari solo per fare la legge elettorale e poi tornare al voto in autunno: oltre che la politica potrebbe essere lo stesso il calendario ad imporlo».
R. Zuc.