Marco Garzonio, Corriere della Sera 11/03/2013, 11 marzo 2013
I SEI CARDINALI LOMBARDI LA PATTUGLIA PIU’ NUMEROSA
Quella lombarda è la componente più numerosa dentro la già folta rappresentanza italiana al Conclave. Eppure è difficile immaginare un nucleo più eterogeneo per formazione, temperamenti, competenze, cursus honorum, idee di Chiesa e mondo. Francesco Coccopalmerio, Attilio Nicora, Gianfranco Ravasi, Giovanni Battista Re, Angelo Scola, Dionigi Tettamanzi — questi i nomi dei sei cardinali — recano impressi i caratteri di una terra che per storia, cultura, ethos popolare, ha offerto nel tempo e presenta tuttora un volto multiforme e complesso dell’esperienza religiosa. Il tratto unificante può essere riassunto in una predilezione diffusa, radicata nel carattere lombardo, per la presenza fattiva, la componente istituzionale, la visione «politica» nell’accezione alta del termine, che coinvolge cioè i principi e le regole della convivenza. Una visione pratica e realistica delle vicende ecclesiastiche e civili, indubbio retaggio delle fatiche secolari d’una regione crocevia di strade e scambi, impegnata nell’affrancarsi da domini stranieri, nel cercare l’indipendenza, nello sfruttare le risorse di una natura non sempre amica facendo conto su intelligenza e capacità personale nel trasformarle.
La Lombardia che fa e che governa sembra emergere dagli incarichi dei sei porporati. Solo due di essi hanno una lunga esperienza pastorale: Scola, arcivescovo di Milano, e il suo predecessore Tettamanzi. Gli altri ricoprono posti di vertice in settori importanti: presidente del Pontificio consiglio dei testi legislativi, Coccopalmerio; presidente dell’Autorità d’informazione finanziaria, Nicora; presidente per il Pontificio consiglio della cultura, Ravasi. Il cardinale Re, già ai vertici della potente Congregazione dei vescovi, proprio al Conclave svolgerà i compiti di Decano del Collegio cardinalizio, in quanto il cardinal Sodano, che pure ha quel ruolo, non entrerà nella Cappella Sistina avendo superato gli ottant’anni.
Che figurino poi tra i porporati lombardi anche due personalità da più parti considerate in questi giorni tra i «papabili», cioè Scola e Ravasi, è segno ulteriore di una tradizione recente che ha posto la Lombardia in una posizione di straordinario privilegio e responsabilità nella storia della Chiesa. Per ben un terzo degli anni del secolo scorso, la cattedra di Pietro è stata retta da tre pontefici lombardi. Tra le due guerre, da Achille Ratti, che, col nome di Pio XI, ha governato dal 1922 al 1939. In piena Guerra fredda (ricordiamoci il Muro di Berlino) Giovanni XXIII ha inaugurato la nuova primavera dei cattolici, indicendo e avviando tra sorpresa e speranze il Concilio ecumenico vaticano II. Eredità raccolta e condotta faticosamente e sapientemente in porto da Giovanni Battista Montini, il Paolo VI del primo pellegrinaggio in Terra Santa d’un Pontefice, del discorso all’Onu, dei tanti viaggi nel mondo.
I precedenti, nel diritto e nelle consuetudini (in entrambi si sa quanto gli ambienti ecclesiastici siano esperti), di solito hanno due tipi di risvolti: possono costituire un’utile premessa per la continuità; al contrario, però, venir usati quali argomenti per sostenere l’opportunità di sperimentare soluzioni diverse. Ma a differenza della vecchia logica che non ammetteva alternative ai termini contrapposti, una terza via non è da escludere nel far pesare i voti delle porpore lombarde. L’indicazione la diede Benedetto XVI nell’ultima visita ad limina del suo pontificato, in cui ricevette i vescovi lombardi. Mimando il movimento di un grande compasso con un braccio puntato sulla Lombardia e l’altro che gira attorno cingendo tutti i Paesi, dal Mediterraneo al Mare del Nord, disse: «La Lombardia deve essere il cuore credente dell’Europa». Ecco, forse la chiave del ruolo lombardo sta proprio qui: nel contribuire a ridare un’identità di fede, di cultura, di pratica cristiana alla vecchia, stanca Europa. Lavorando per individuare un Papa di qui o di un altro continente poco dovrebbe importare, che vada alle radici del Vangelo portato da Pietro a Roma, non perché fosse rinchiuso nelle mura di una Curia, ma per irradiare il mondo. I lombardi, abituati a rimboccarsi le maniche nel momento del bisogno di tutti, non solo delle proprie esigenze, si cimenteranno in praticità e saggezza. Responsabilmente, secondo costume.
Marco Garzonio