Camillo Langone, Libero 10/3/2013, 10 marzo 2013
QUELLA NUVOLA NERA CHE INSISTE SULL’EMILIA
L’anno scorso il terremoto, adesso la strage del furgone-rosticceria: sembra che sopra Guastalla insista una nuvola nera. E pensare che questa piccola città (grosso paese per chi ne ignora la storia) fu felice per secoli. Nel 1106 divenne una Roma sul Po, quando vi si tenne un concilio alla presenza del Papa e della celeberrima Matilde di Canossa. Nel Rinascimento fu capitalina gonzaghesca e quindi sede di una corte tascabile però sensibile all’arte e alla poesia: vi soggiornarono il Guercino, i Carracci, Torquato Tasso, scusate se è poco. A quel tempo a Guastalla si batteva moneta e se il denaro non significa automaticamente felicità certo l’impossibilità di stamparlo non favorisce il gaudio, come sa qualunque italiano si trovi a vivere nell’epoca dell’euro. Poi un lungo declino: nel Settecento l’accorpamento al ducato di Parma, nell’Ottocento l’Unità d’Italia e quindi la degradazione a capoluogo di circondario, nel Novecento la perdita del vescovo, nel Ventunesimo secolo la perdita del tribunale. E il terremoto le cui ferite sono ben lontane dall’essere rimarginate: basti sapere che non una delle numerose chiese (alcune molto belle) è stata riaperta al culto. A Guastalla in questo tragico momento non c’è nemmeno un posto dove celebrare un funerale consono. E il lutto cittadino, subito dichiarato dal sindaco, non avrà una cornice religiosa se non all’interno della palestra che da troppi mesi fa le veci di aula liturgica. Pochi chilometri a sud, verso Reggio Emilia, si sta lavorando alacremente per terminare la fermata medio-padana dell’Alta Velocità. Per questa ennesima calatravata (il progetto è proprio del Santiago Calatrava che a Venezia non è stato capace di costruire un ponte come si deve) i soldi si sono trovati, per le chiese terremotate no, o non abbastanza, o non abbastanza alla svelta. E intanto la gente muore. Muore sul lavoro come le tre donne bruciate nella rosticceria ambulante per colpa di due maledette bombole di gas. Ogni sabato mattina, da anni, la moglie del titolare, la figlia e la cognata vendevano succulenti polli allo spiedo nella piazza del mercato, assecondando a prezzo di levatacce una bella tradizione provinciale di signore che vanno a fare la spesa per i famigliari rimasti a casa (i figli che approfittano del prefestivo per dormire un’ora in più, i mariti a cui andare per bancarelle non piace tanto...). Questa sciagura susciti una nuova attenzione verso Guastalla dimenticata e verso gli operatori del cibo di strada: così gustoso, così economico, così simpatico, così soggetto a condizioni di lavoro precarie.