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 2013  marzo 11 Lunedì calendario

LA RIVOLUZIONE DI ERDOGAN PIU’ VELO E MENO LIBERTA’

Più che l’islamizzazione una «rivoluzione culturale». Piaccia o no, dal novembre del 2002, data in cui l’Akp, il Partito islamico-moderato per la Giustizia e lo Sviluppo, prese il potere per la prima volta, la Turchia è cambiata. Per molti sono aumentati gli standard democratici e il benessere. L’Akp continua a essere rieletto con percentuali plebiscitarie, ma c’è chi teme per la tenuta della libertà. Su una cosa tutti concordano: l’artefice del cambiamento è Recep Tayyip Erdogan. Il premier turco rappresenta un vero e proprio punto di non ritorno nella vita politica dalla nascita della Repubblica turca, tanto che ormai quasi tutti lo considerano l’Ataturk (fondatore della Turchia moderna nel 1923 nrd) con connotati religiosi.

Di carattere forte, secondo molto autoritario, Erdogan in questi 10 anni è finito più volte sui giornali con l’accusa di voler islamizzare il Paese, utilizzando l’ingresso in Unione Europea solo per indebolire lo strapotere dei militari, da sempre strenui difensori dello Stato moderno e laico fondato da Atatürk. Già durante il suo mandato da sindaco di Istanbul, dal 1994 al 1998, il futuro premier aveva fatto parlare di sé per aver criticato i dipendenti dal comune che servivano bevande alcoliche, e perché non stringeva la mano alle donne. La sua nomina a primo ministro, avvenuta ufficialmente nel 2003, lo ha portato a più miti consigli, ma per poco. È dello stesso anno il tentativo del primo governo Erdogan di fare entrare gli studenti delle imam-hatip (scuole vocazionali islamiche) all’università. La legge venne bloccata dall’intervento dell’allora presidente Ahmet Necdet Sezer, ultralaico e gradito all’establishment militare.

Nel 2008 ritorna la tensione sociale per una legge, approvata in parlamento grazie all’aiuto dei nazionalisti del Mhp, che consente il velo islamico nelle università, già negato da una sentenza del 1989 della Corte Costituzionale. Sarà proprio l’Alta Corte a bocciare il provvedimento, ritenendolo contrario ai principi laici dello Stato. Oggi il divieto viene ampiamente disatteso, anche per una circolare dello Yok, la Conferenza dei rettori, del 2010 che invitava i responsabili degli atenei a non fare differenze basate sull’abbigliamento.

Le elezioni del 2011 hanno segnato un punto di svolta nella politica del premier, che al terzo consenso elettorale sempre maggiore, ha modificato la sua strategia comunicativa, accentuandone le componenti conservatrici. Nel 2012 viene approvata la riforma scolastica che consente ai genitori di inviare i bambini alle scuola vocazionali già dall’età di 10 anni. In alcuni quartieri di Istanbul scoppia la polemica per alcuni studenti trovatisi iscritti d’ufficio alle imam-hatip e non in istituti laici come avevano richiesto, per mancanza di posti. Il premier dice: «alleveremo generazioni di giovani devoti».

Gli appelli di Erdogan alle donne turche a fare almeno tre figli sono all’ordine del giorno. Dietro le sue parole si cela anche il timore per il peso demografico della c o m p o n e n t e curda, concentrata nel SudEst del Paese e dove non hanno problemi di natalità. Ma parallelamente ha portato avanti una campagna serrata contro l’aborto, minacciando di cambiare la legge, che attualmente fissa l’interruzione di gravidanza a 10 settimane, e una vera e propria «crociata» contro una telenovela, campione di ascolti in Turchia e all’estero, rea di aver ritratto il sultano Solimano il magnifico come troppo dedito all’alcol e troppo succubo delle donne.

Infine, in questi anni, la Turchia di Recep Tayyip Erdogan è finita più volte nell’occhio del ciclone per la questione della libertà di stampa e pressioni sui media. Al momento oltre 70 giornalisti si trovano in carcere con l’accusa di associazione a organizzazione terroristica. Nei giorni scorsi il quotidiano Milliyet ha sospeso per due settimane Can Dundar e Hasan Cemal, due fra le firme più note del giornalismo turco, che avevano messo in luce i retroscena sulla trattativa segreta fra Stato turco e Pkk, il partito dei separatisti curdi, il che aveva profondamente irritato il premier.