Guido Ceronetti, La Stampa 10/3/2013, 10 marzo 2013
ALELPHI, SOLTANTO I LIBRI CHE TI CAMBIANO LA VITA
Adelphi è un’aura spirituale esclusiva e ineludibile posta a guardia di lettori che nel piacere della lettura cerchino una salvezza in questo e in altri mondi; lettori che più che di conoscenza accumulabile siano affamati di qualche patria perduta.
I cinquant’anni della sua esistenza meritano un’attenzione speciale.
Il suo presidente e autore Roberto Calasso mi ricorda una battuta dell’ispiratore e dettatore delle prime scelte editoriali, il triestino germanofono Roberto Bazlen: «Soltanto libri che piacciano a noi; e che un libro valga o no la pena, lo decide la trasformazione che opera in me la lettura fatta». L’Adelphi nacque da una costola di Einaudi, per cui lavoravano i suoi fondatori Bazlen e Foà, e subito si prefisse di essere tutto ciò che l’Einaudi del gran capo Giulio aveva lasciato d’inespresso, per rifiuto ideologico e vocazione, dopo il 1945, implacabilmente marxista.
La nuova Editrice si trasferì a Milano, dov’è tuttora, e il suo primo e fondamentale contributo di pensiero fu la traduzione Colli-Montinari di Nietzsche. Sul rifiuto di accettarla si consumò lo scisma... C’erano ancora dei combats spirituels , brutali come scontri armati, in Italia! Se spariscono guerriglie e ripugnanze letterarie, tutto si fa meschino.
Il Direttore di Einaudi, Giulio Bollati, in quegli anni, diceva a me, che gli proponevo una eventuale traduzione del Voyage di Céline: «Ma no, mai pubblicheremo un autore simile!». Un po’ di anni dopo si convinsero a lasciarne passare qualcosa. Del resto, come avrebbero potuto convivere nello stesso catalogo Primo Levi e l’antisemita tragico di Meudon?
Rimase, all’Adelphi, l’impronta bazleniana della trasformazione ( Veränderung ) del lettore, mentre la pelle di serpente marxista di Einaudi si perdeva sui cardi e nelle vigne del Belbo. Non esiste neppure più il ricordo di certi loro libri impossibili del periodo staliniano (Simonov, Fadeev), ma durò per più di un decennio. L’Adelphi restò sempre legata al mondo germano-austriaco e alla filosofia tedesca, avendo in mira costantemente di arrivare a cambiare qualcosa nella vita del leggente, attratto dall’impeccabilità un po’ asettica dell’edizione. Io potrei citare, tra i numerosi loro autori che mi hanno sgattigliato del nuovo nell’anima, il breviario delle Cento storie Zen eLa forza del carattere di James Hillman, ai quali aggiungerei A me stesso , l’officina interiore di Oswald Spengler, e il recupero dell’opera sparita del filosofo fuori moda Giuseppe Rensi. Anche in tarda vecchiaia, se restano le facoltà, possiamo ricevere da un libro il dono della Trasformazione.
Ma avrò mai letto niente che non fosse per un fine di conoscenza salvatrice-rigeneratrice? Se guardo la buca da cui nasce questo Po della parola ci trovo un volume che si è salvato nei traslochi e nei dissolvimenti cartacei che condannano buona parte dei libri editi fra ’30 e ’50: è del 1945, lo comprai all’età di diciotto anni, s’intitolava Maghi e Illuminati nei secoli , da Apollonio di Tiana a Elena Blavatsky, passando per il Catarismo e i Rosa-Croce, l’autore era il francese Maurice Magre, l’editore il milanese Lumen. Ero in pieno pellegrinaggio gnostico e la parola gnosi, gnosticismo, mi era ignotissima. Trovai là per la prima volta narrata la storia delle stragi di Simone di Montfort e dei roghi di Montségur. Senza un clic, senza avvertire nulla nei sogni, avevo catturato per sempre le ombre dei morti eretici cristiani di Montségur.
Quando sarà avvenuta la conversione allo gnosticismo dell’Adelphi, probabilmente dovuta a successivi colpi di timone e alla crescente influenza di Roberto Calasso? Io accennai, in un articolo sulla Stampa , a una possibile banda gnostica tra le stupidamente ignorate correnti culturali italiane. Facevo nomi che, però, non corrispondevano perfettamente, tra gli autori viventi, a una simile definizione religiosa. (Antropologica, chissà; esiste un popolo gnostico senza frontiere? Arriva fino alle sette suicide? Ai consumatori forsennati di sesso virtuale? Sant’Ireneo ci perderebbe la testa, troppe le novità eresiologiche del XIX, XX, XXI secolo!). La rivista Studi cattolici imputò all’Adelphi di mirare subdolamente a dissolvere il cristianesimo. L’ipotesi trascurava quanto fosse forte e determinante, al di là di ogni indeterminabile appartenenza a logge settarie, la passione per il libro in sé dei direttori adelphiani. È vero che, nel loro catalogo, gli scrittori propriamente cristiani si contano (Eckart, Quinzio, Sant’Ignazio, Cristina Campo, Léon Bloy... di cui nei ranghi uno solo).
Accenno a una lacuna, che mi auguro verrà colmata: Jules Verne, di cui mancano, che io sappia, edizioni italiane decenti e sapientemente introdotte - come meritano. Verne non è l’anticipatore e l’esaltatore di scoperte scientifiche e degli sbarchi sulla luna come recita il luogo comune; è essenzialmente un esploratore di realtà occulte, un simbolista massonico, un grande topografo di percorsi iniziatici. Tanto meno è un autore per divertimento e educazione di ragazzini molto seri! Raccomando, per parte mia, di privilegiare nell’attenzione Le Indie nere , il Viaggio al centro della Terra , il giro del mondo di Phileas Fogg, L’Isola misteriosa , Ventimila leghe sotto i mari . Là si esplorano i mondi inferi come in un Mistero orfico o eleusino; il vecchio - supposto ingenuo e innocuo - Jules è una guida illuminata, è lui stesso un Illuminato, un Tarocco n. 9... (Per un Verne adelphiano, volentieri una prefazione la scriverei).
L’Adelphi resta una grande avventura del pensiero. Grintosa, schizzinosa, un po’ butterata di ripugnanze, è fortunato chi ci esordisce, ma l’ammissione è più facile se c’è alle spalle un buon tratto, già percorso, di strada. I morti sono ospiti ambiti quando costituiscano recuperi nel tempo, riscoperte o visioni dimenticate rivisitabili. La cruna d’ago è quasi sempre lo stile. Poiché ormai tutti i libri sono frutto di digitazione senza memoria cartacea, di stile ce ne sarà sempre meno, e i recuperi cresceranno. Nel 2011, un coniglio impensato è stato Le Sabbat di un soggetto pochissimo raccomandabile, Maurice Sachs, credo non necessario, ma nello stile fortissimo. L’avevo assaggiato una trentina d’anni fa, nelle edizioni «Poche»; lo ha curato Ena Marchi. L’autore lo terminò nel 1939, prima di diventare, lui di famiglia ebrea, complice e denunciatore per i nazisti, che nel 1944, diventato ingombro, lo eliminarono in carcere ad Amburgo. La letteratura non è un cenacolo di mirobliti (i corpi santi che esalano profumi).
Nel cuore dell’ideologia gnostica adelphiana, il tempo non è lineare. È circolare come la tenda indiana di cui parla Alce Nero: Adelphi pubblicò il famosissimo Alce Nero parla nel 1968, tradotto da Rodolfo Wilcock, l’argentino, che conobbi a Roma, quando collaborava all’ Espresso. Ma non si comincia da Nietzsche senza una tacita adesione inconscia o preliminare alla ciclicità del Tempo. Obbligati, dopo il terribile massacro del Wounded Knee, a vivere in capanne quadrate , gli indiani della riserva sentivano perduto il loro rapporto col mondo invisibile, e lo storico John Neihardt non registrò, nel 1931, da un vecchio e semicieco Alce Nero, che nostalgie, rimpianti e disperazioni. Quello fu uno dei libri che convertirono più lettori giovani alla causa indiana, determinando anche il loro atteggiamento pro-Vietcong e Giap nella guerra incompresa del Vietnam. Alce Nero divenne una specie di evangelo laico, nel ricordo brumoso di un sacro perduto. Vale la pena di ricordarne le ultime parole: «Quanto a me, l’uomo a cui fu concessa in gioventù una così grande visione, adesso mi vedete ridotto un vecchio pietoso, che non ha fatto un bel niente, perché il cerchio della nazione è rotto e i suoi frammenti sono sparsi. Il cerchio non ha più centro e l’albero sacro è morto». Queste parole così lontane, pronunciate in lingua sconosciuta da labbra affievolite, mi suscitano dentro, fulminea e addolorata, l’immagine dell’Italia odierna, in cui il cerchio della nazione un maligno potere ha frantumato. Anche in Grecia è successa la stessa cosa, e il tempo lineare procede privo di lume di ragione dappertutto. «Il cerchio non ha più centro e l’albero sacro è morto».