Michele Smargiassi, la Repubblica 10/3/2013, 10 marzo 2013
YOUTUBE E SPONTANEITÀ I MEDIA VERSIONE 5 STELLE
INQUADRATURA dal basso. Intonaco giallastro, fotografie male appiccicate al muro, un lembo di finestra. «Scusate stacco il microfono», il conduttore s’alza, scena vuota. «Mi sentite?», voce intubata, «la parola a Francesco», lo sfondo è un corridoio, s’intravede la porta forse di un bagno, un miagolìo fuori campo.
OÈ il
talk show
più sbilenco della storia, o è una rivoluzione. Forse la seconda. È lo stile de
La Cosa,
la contro-tivù di Beppe Grillo. Ma non è solo stile. È la punta di una rivoluzione copernicana della comunicazione politica su cui non conviene fare ironie.
La mano piantata dall’attivista del MoVimento davanti alla telecamera di Tgcom24, il 16 febbraio in piazza Castello a Torino, non intimava solo di inquadrare la piazza del comizio del capo, per «far vedere quanti siamo». Era un gesto simbolico, carico di significati. Non a caso è diventato un tormentone Twitter, #inquadralapiazza. Poteva essere #giralatelecamera, perché è questo il movimento che i cinquestelle stanno imprimendo alla scena mediatica: una torsione di 180 gradi del paradigma politico-televisivo berlusconiano (poi accettato da tutti) dominante da trent’anni. Un ribaltamento da osservare in sé, mettendo da parte le
querelle
sul populismo, il destra- o-sinistra, l’euro, la fiducia eccetera.
E qui, dire che Grillo vince perché sa usare la Rete meglio degli altri è cavarsela
con poco. Non fossero bastate le piazze grilline colme di gente in carne ed ossa a smentire la mera virtualità del MoVimento, ecco un dato curioso che troviamo fra le pagine di
Il partito di Grillo
di Piergiorgio Corbetta ed Elisabetta Gualmini: i candidati 5Sstelle sono attivi sul Web meno di quelli Pd (il 97% dei quali è presente su almeno tre
social network)
e perfino di quelli del Pdl (75%). Solo il 42% dei grillini va oltre la classica doppietta Facebook-Twitter. Ma sapete dove non li batte nessuno? Su YouTube. Dove i loro video sono da sette a venti volte più visibili di quelli dei concorrenti.
Il mito del “partito Web” è da ricalibrare. Per il MoVimento, la Rete come luogo di democrazia dal basso è più che altro un richiamo mitico, una personificazione dell’idea di popolo, «ecco come ha reagito Internet». La “piattaforma” certificata per le votazioni online, più volte promessa, non esiste ancora, Gianroberto Casaleggio è tornato ad annunciarla senza troppa enfasi ai neoeletti riuniti a Roma. Le reti dei
meetup
grillini, versione Web delle sezioni di partito, sono soprattutto uno strumento di mobilitazione (formidabile: nel 2012 sono raddoppiati sfiorando i centomila iscritti). Il blog di Beppe Grillo, con un paio di milioni di
follower,
“sede del MoVimento” a termini di “Non-Statuto”, non è un’agorà da
polis
greca, è una provvista di argomenti da spendere, e uno scandaglio di
umori. Le discussioni lunghissime appagano, ma non decidono. Però rafforzano la linea: e non c’è bisogno di sospettare trucchi da e-marketing, come infiltrare falsi utenti o dissimulati
influencer,
basta l’entusiasmo dei fedelissimi a fare da contraerea implacabile alle obiezioni sgradite.
Il Web è solo la condizione tecnica di un palinsesto più sofisticato, che intreccia corpi fisici e schermi luminosi in un cocktail per spiazzare gli avversari. Lo capì Berlusconi, quando inventò il formato politico della tivù commerciale, sgonfiando le tribune elettorali Rai, mettendo Iva Zanicchi al posto di Jader Jacobelli, traslocando i politici nei salottini dell’intrattenimento. La sua prima apparizione “politica” fu sulla poltrona di Funari. Gli altri dovettero adeguarsi mentre lui, sul suo terreno, partiva in vantaggio.
Bene, Grillo trent’anni dopo fa lo stesso. Butta per aria il vecchio tavolo e impone il suo. “Spegni la tivù e accendi
La Cosa”
è la sfida del canale condotto dal dj Matteo Ponzano, milanese dai toni affabili; strumento nato per supportare le dirette dello Tsunami Tour, non a caso è stato mantenuto in vita. Fatelo: accendetela. L’impatto è straniante. Altro che la calza di nylon sulla telecamera, qui gli errori imperdonabili nella tivù classica sono commessi di proposito. Inquadrature storte
da webcam, pixellature, sonoro approssimativo, colori improbabili, tempi scoordinati, volti tagliati dai bordi dello schermo. Niente salotti, i dibattiti sono
conference callcon
tre o quattro schermini in fila che si ingrandiscono quando uno parla. Ma è l’estetica Skype o Facetime, ed è familiare a milioni di persone. Comunica il messaggio: “adesso l’informazione sei tu”. «Non è più televisione, il palinsesto siamo noi, non abbiamo spettatori ma
interattori
», butta lì con intuito Ponzano. Il telespettatore berlusconiano era trattato come un ospite gradito: qui viene trattato come fosse il padrone di casa, anche se poi i contributi “dal basso” sono più che altro interventi in lunghe
chat,
clip autoprodotte, interviste sui bus o nei mercati raccolte da Piero Ricca (quello che gridò «Buffone» a Berlusconi). Ma il mito della dis-intermediazione, l’abolizione del filtro dei giornalisti, sembra avverato: mentre in realtà è una diversa mediatizzazione.
Genio naturale della costruzione della spontaneità è Salvo Mandarà, ingegnere siciliano trapiantato ad Abbiategrasso, apparso con telecamerina sui palchi di Grillo e poi “scritturato” sempre più ufficialmente, fino alla consacrazione come una delle voci del movimento.
Salvochannel5puntozero
ha debuttato il 6 marzo: guardate i suoi editoriali a braccio dal titolo
Miscappaladiretta,
ripresi dal cruscotto dell’auto, o sotto l’ombrello, o nell’officina del meccanico che «mi sta facendo il tagliando» o in cucina fra rumori di stoviglie, e ne capirete la forza mediatica, forse costruita, forse naïf.
Il tecno-pauperismo esibito visualizza i confini di un orgoglioso “altrove”, un po’ come negli anni Sessanta fece il ciclostile. In questa luce si capiscono meglio sia la “strategia dell’assenza” dai media tradizionali che le tirate di guinzaglio a chi è tentato dai network: «andare in tivù è come andare al proprio funerale», niente pietà né fiori al nemico morente, attenti, le «sette sorellastre» della tivù possono ancora azzannare come lupi feriti, meglio costringerle a inseguirci col fiatone, come i cameraman dietro al Grillo mascherato
sulla spiaggia di Marina Bibbona, siparietto altamente metaforico.
Ecco perché YouTube e le telecamerine sono preferite a Twitter. Perché ostentano di ribaltare la direzione della comunicazione, da verticale a orizzontale, senza però rinunciare all’ingrediente ormai insostituibile di ogni successo politico: il corpo. Importato nella politica un secolo fa da D’Annunzio, messo in sordina dai doppipetti democristiani, riesploso iperbolicamente con Berlusconi, il corpo è anche
nel nuovo palinsesto «l’arma più forte », come diceva Mussolini del cinema. Grillo, uomo di scena, lo sa meglio di tutti. Le sue
tranceattoriali
sui palchi che misura a falcate, che riempie di sé, la sua voce dalle escursioni estreme, i gesti che sembrano acchiappare lo spettatore (surrealmente duplicati da quelli del traduttore per non udenti), il suo vocabolario irridente, la veemenza sdoganata e sbattuta in faccia alla «Lourdes linguistica» dei suoi critici, la neolingua che trasforma
onorevole
in
cittadinoe dirigentein portavoce,
tutto questo, replicato migliaia di volte in
streaming,
produce un effetto di autoriconoscimento, distanza abissale dal nemico, identificazione ed amalgama. «Non siamo più un movimento, siamo una comunità!», «Non è un comizio, è uno scambio d’affetto!», gridava Grillo abbracciando le sue piazze, che rispondevano empatiche. È così che il tribuno-aspirapolvere è riuscito dove i movimenti anti-casta (radicali, girotondini, popolo viola...) hanno fallito: nel raccogliere l’universo polverizzato e centrifugo delle mille proteste in un unico
frame,
dove il principio “uno vale uno”, più che un inno all’individuale, è l’apologia dell’omogeneo. «O vinciamo come gruppo o ci eliminano come singoli», insegna Casaleggio
d’aprés
Al Pacino. E questo è qualcosa di molto più profondo di un “partito del
Web”.