Maurizio Caverzan, Il Giornale 10/3/2013, 10 marzo 2013
SCOLA, CRESCIUTO DA RATZINGER A SUA IMMAGINE E SOMIGLIANZA
Roma Teologo sopraffino, mite uomo di lago, «di famiglia poverissima », secondogenito di una casalinga e di un camionista che guidava «una Fiat 626 che faceva 37 chilometri orari». È Angelo Scola, arcivescovo di Milano: secondo le indiscrezioni provenienti dal Sacro collegio cardinalizio, il candidato più accreditato a succedere a Benedetto XVI. In perfetta continuità con l’ultima udienza generale di Ratzinger, nel suo intervento alle Congregazioni generali dell’altro giorno Scola ha parlato della «natura della Chiesa». Un intervento alto e «altro» rispetto a quelli di moda: gli scandali di Vatileaks o quelli della pedofilia, la necessità di un cambiamento della curia romana, il problema del ruolo delle donne nell’istituzione ecclesiastica. Fin da quando dirigeva l’Istra (Istituto Studi per la Transizione, prima metà dei Settanta), la natura e la missione della Chiesa nel mondo sono la preoccupazione principale dell’arcivescovo di Milano, già patriarca di Venezia. Ad appoggiarne l’elezione da dopodomani sarebbe un nutrito gruppo di cardinali che comprende l’influente vescovo di Vienna Christoph Schö nborn, anche lui allievo di Ratzinger, gli americani capeggiati da Timothy Michael Dolan, arcivescovo di New York, alcune eminenze asiatiche e dell’area mediterranea con le quali, attraverso la Fondazione Oasis, Scola intesse da tempo un fervido dialogo (per credere, basta compulsare i membri del Comitato promotore dell’omonima rivista). E gli italiani? Secondo le solite indiscrezioni, tra i «kingmaker » di Scola ci sarebbero anche il presidente della Cei Angelo Bagnasco e l’arcivescovo di Bologna Carlo Caffarra. Si vedrà, i conti veri devono ancora cominciare. E, come diceva Giuseppe Siri, l’ex vescovo di Genova che la sapeva lunga in materia, «i papi si fanno in Conclave ».
Nato e cresciuto a Malgrate, sulla riva opposta a Lecco, in un appartamentino di 35 metri quadrati dentro una fattoria sul limitare del bosco, Angelo ha un padre nenniano e massimalista e una madre religiosissima. Lei lo educa alla fede insegnandogli a «rivolgere l’ultimo pensiero prima di addormentarsi alla Madonna». Lui lo fa studiare «perché «L’Unità» e
«l’Avanti!» raccomandavano di mandare i figli a scuola». Da adolescente, grazie alla sensibilità del cappellano del paese, inizia a gustare i classici russi e americani, da Dostoevskij a Faulkner finanche a Kerouac. Poi viene la stagione dei pretisociali italiani: Mazzolari, Balducci e Milani, la cui «stupenda formula educativa I care-confida l’arcivescovo- ha risvolti ancora molto attuali ». Al liceo, dopo un periodo di indifferenza dalla Chiesa e di impegno sui temi della politica, l’incontro con don Giussani lo cambia. Il fondatore di Comunione e Liberazione «tenne una splendida lezione sulla gioventù come tensione e per la prima volta », ricorda Scola, «percepii un accento diverso nel considerare il rapporto tra Cristo e la mia vita». Prima che esploda il ’68 entra nel seminario vescovile di Venegono, ma l’ordinazione sacerdotale avviene in quello di Teramo. Dal ’69 prosegue gli studi a Friburgo, culla della migliore teologia dell’epoca. Come lo era la rivista internazionale «Communio » , dove conosce e frequenta Joseph Ratzinger, Henri de Lubac e Hans Urs von Balthasar. L’amore per lo studio e la letteratura coltivato fin da ragazzo è nuovamente rivitalizzato. A fine anni ’70,quando insegna a Friburgo, insieme ad altri esponenti di Cl, interviene ad una lezione di filosofia tenuta privatamente a Berlusconi e ai suoi manager. Il decennio successivo lo vede docente alla Pontificia Università Lateranense di cui, nel ’95,diviene rettore. Nel ’91 Scola è vescovo di Grosseto, nel 2002 viene nominato patriarca di Venezia dove, attraverso la nascita della rivista «Oasis» dà vita a un intenso dialogo inter-religioso. Nel giugno 2011 Benedetto XVI lo nomina arcivescovo di Milano, con le sue oltre 1100 parrocchie la più grande diocesi del mondo.
Una settimana fa nell’Aula Paolo VI, l’attuale Papa emerito aveva sintetizzato i suoi otto anni al timone della barca di Pietro dicendo: «Ho sempre saputo che in quella barca c’è il Signore e ho sempre saputo che la barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è sua». In sostanza, è Cristo che salva la Chiesa. Non noi, non i papi manager o governatori. Scola è ritenuto il continuatore più diretto dell’opera di Benedetto XVI. Entrambi sono convinti della necessità di una riforma purificatrice che parta dal cuore dell’istituzione. Una purificazione che non può essere frutto di tecniche più o meno raffinate. Fedele alla consegna del più stretto riserbo, da quando Ratzinger si è dimesso Scola ha sospeso il suo account su twitter e fermato alcune pubblicazioni già in fase di revisione finale. Il 5 marzo scorso, giorno dell’inaugurazione dell’anno accademico dell’università Cattolica di Milano ha detto agli studenti: «La rinuncia di Benedetto XVI al ministero petrino e l’attesa orante del nuovo Papa domandano a tutti noi uno scatto di verità e responsabilità».