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 2013  marzo 08 Venerdì calendario

CASINI FA LA FINE DI FINI IL SUO PARTITO NON C’È PIÙ

Roma Vedere l’Udc evaporare in diretta nei saloni rossi di un grande albergo della periferia romana è spettacolo che ti fa male. Intendiamoci, come ere­de della balena bianca il partito che continua a esibire lo scudo crociato nel suo simbolo ha sempre avuto al massimo la stazza di un onesto tonno, ma ora che è divenuto acciuga il suo dibattersi è drammatico. Peggio che la scomparsa del Fli, che si celebra nelle stesse ore. Se ridi, ridi amaro: quando qual­cuno suggerisce che ci sono più delegati in consiglio nazionale che elettori. Quando qualcun altro chiama quello probabile di aprile il congresso dell’albu­mina, dalla percentuale sotto l’1,8 incassata nelle ultime ana­lisi, ehm, elezioni. Quando per la terza volta senti pronunciare per l’esito elettorale la frase: «È un risultato bugiardo». Come un qualsiasi Mazzarri.
Qui al Marriott, rosso albergo­ne sulla strada che porta all’ae­roporto di Fiumicino e che quindi profuma già di fuga, Pier Ferdinando Casini non c’è. «Quello che si è autonominato leader quando la barca affonda se ne va, come Schettino», staffi­la il torinese Fazio Bello. Meta­fora che il frondista numero uno Mario Tassone non sotto­scrive ma nemmeno sbianchet­ta: «No, certo non si può dire questo, ma bisogna capire i sen­timenti di chi sta qui. Comun­que non si abbandona la nave che affonda». Tassone è l’auto­re di una delle tre mozioni pre­sentate in consiglio. Vi si chie­de l’«azzeramento immediato dei vertici» e vi si critica «il soste­gno acritico mai visto in prece­denza al Professore e alle sue misure problematiche e reces­sive ». Le mozioni vengono vota­te frettolosamente, il presiden­te del partito Rocco Buttiglione si limita a chiedere l’approva­zione della prima che garanti­sce la fiducia all’attapiratissi­mo segretario Lorenzo Cesa e la convocazione del congresso. Quello che sancirà l’anno zero del partito oppure l’ Anschluss all’interno della lista Monti. Le altre due mozioni spariscono così, provocando malumori in serie nella pausa-sigaretta.
Qui va in onda lo showdown dell’acciuga bianca.Casini con la sua semplice assenza già si candida a ufficiale liquidatore. Pierferdy in realtà si fa rappre­sentare da una lettera-testa­mento: «Per quanto mi riguar­da so che una stagione si è chiu­sa ».La road map prevede:giubi­lare il segretario del tracollo, Lo­renzo Cesa (che nella sua rela­zione promette di non ricandi­darsi e di lasciar spazio ai «tanti giovani leoni sul territorio» e si commuove quando cita Casini «che per me è quasi un fratel­lo »); mettere al suo posto nella segreteria di transizione uno dei suoi fedelissimi: forse Mau­ro Libè, forse Luca Galletti, for­se Roberto Rao, forse tutti e tre insieme in triumvirato. Quindi la soluzione finale: i 10 eletti al­la Camera e i tre al Senato entre­rebbero a far parte del gruppo unico con «i colletti bianchi» di Monti, laddove gli obiettori vor­rebbero acquattarsi nel misto con l’illusione di conservare la propria identità. Casini come ri­compensa per il delitto perfetto diventerebbe capogruppo al Se­nato di Scelta Civica.
Insomma, molti uddiccini non vogliono morire montiani dopo essersi ammalati grave­mente a causa del Professore stesso. «Monti è stato un semi­fallimento », dice Calogero Or­lando. «Monti è finito», la lapi­de di Angelo Compagnon. Perfi­no Rocco Buttiglione ironizza: «Professore è un termine che andava molto di moda prima, ora un po’ meno». I francesi chiamano questo esprit d’esca­lier .
Che è quando ti viene la ri­sposta perfetta a una domanda importante quando stai sulle scale per andartene. Come a di­re: troppo tardi.