Valeria Gandus, Il Fatto Quotidiano 10/3/2013, 10 marzo 2013
IL REPORTER E LA CACCIA GROSSA AL TESORO DI GÖRING
Il tesoro giace a circa 30 metri di profondità, adagiato su uno spesso strato di fango, alghe e detriti: almeno cinque casse piene zeppe di oro e platino immerse da quasi settant’anni nelle gelide acque del lago di Stolpsee, nel Brandeburgo (ex DDR), pochi chilometri a Nord di Berlino. Le casse fanno parte dell’immondo bottino di guerra dei nazisti: gioielli, monete, preziosi depredati agli ebrei sterminati nei campi. Un bottino al quale aveva attinto a piene mani Hermann Göring, il numero due di Hitler che, probabilmente, conservava quelle casse assieme a quadri, statue e reperti archeologici di immenso valore, a Carinhall, la sua villa vicino a Berlino. Il 28 aprile 1945 la villa fu distrutta da un bombardamento della Luftwaffe ordinato dallo stesso Göring. Ma solo dopo che i suoi tesori erano stati dirottati altrove: le opere d’arte a Berchtesgaden, nelle Alpi bavaresi, l’oro e i gioielli, 750 chili per un valore valutato, oggi, in oltre un miliardo di sterline, affondati nel lago di Stolpsee.
Quei 750 kg di preziosi e il fallimento della Stasi
Ed è lì che l’israeliano Yaron Svoray, 59 anni, a capo di un team internazionale specializzato in giornalismo archeologico-investigativo, le ha individuate . Un’impresa durata anni e che si concluderà solo a primavera, quando il suo gruppo (del quale fanno parte due italiani) perfezionerà la localizzazione del tesoro grazie a più sofisticate apparecchiature sonar messe a disposizione dal governo del Brandeburgo (che collabora all’operazione insieme con l’Ufficio tutela beni archeologici della regione), mentre un clima più mite consentirà ai ricercatori di calarsi in acqua e recuperare le casse. Ma chi è Svoray e come è arrivato a dipanare un mistero sul quale si era accanita, senza successo, perfino la Stasi, la famigerata polizia segreta della Germania dell’Est? Intanto, questa dell’oro di Göring non è la sua prima impresa. Figlio di due sopravvissuti ai campi di sterminio, negli anni Novanta Svoray si è infiltrato in un gruppo di neonazisti tedeschi e ha raccontato in un libro diventato poi anche film (in Italia l’ha pubblicato Mondadori con il titolo Neonazi) la sua esperienza. Nel libro successivo, Bloodfromastone (Sangue da una pietra) ha invece ricostruito la storia del ritrovamento, oltre mezzo secolo dopo, di un sacchetto di diamanti che due soldati americani avevano sequestrato ai nazisti e sepolto in una trincea. Lo stesso è accaduto conlacassapienadisterlinefalse(giacevasulfondo di un altro lago, quello di Topliz, sempre in Germania) che erano state messe in circolazione dai nazisti per affossare l’economia britannica. Ma il ritrovamento più emozionante e commovente è stato quello, nel 2006, dei poveri averi (anelli, occhiali, orologi, braccialetti, monete) che i deportati del campo di Majdanek, in Polonia, avevano seppellito quando, ormai certi di non poter più lasciare il campo se non attraverso il camino, avevano deciso di consegnare ai loro aguzzini null’altro che la vita. Gli scavi a colpo quasi sicuro in quel che resta del campo di sterminio erano avvenuti sulla scorta delle testimonianze di alcuni sopravvissuti che, tornati sul luogo dei loro tormenti, avevano indirizzato le vanghe verso i punti in cui ricordavano di aver scavato loro, tanto tempo prima, a mani nude. Anche oggi l’operazione di recupero delle casse d’oro e preziosi parte dalla testimonianza, resa molti anni orsono, da gente del posto. Uno dei testimoni, Eckhard Litz, ha dichiarato a una commissione d’inchiesta degli Alleati: “Ricordo bene la notte in cui gli autocarri arrivarono in riva al lago. Ho visto circa venti-trenta figure scheletriche vestite con le uniformi a strisce dei campi di concentramento costrette a scaricare pesanti scatole. Queste sono state poi messe su due barche a remi che hanno fatto sei viaggi al centro del lago. Quando l’ultima cassa era stata gettata in acqua, gli uomini sono stati allineati e l’ultima cosa che ho visto sono stati i lampi delle mitragliatrici delle guardie”. Il testimone ha aggiunto che i corpi sono stati poi caricati nuovamente sulle barche a remi e affondati anch’essi al centro del lago.
I prigionieri fucilati dopo il trasbordo al largo e la mappa dell’ufficiale della Luftwaffe
A dirigere l’operazione era un ufficiale della Luftwaffe che, eseguito il suo compito e prima di darsi alla fuga verso il Sudamerica, schizzò su un foglio un’approssimativa mappa del tesoro: la stessa che per vie traverse è arrivata nelle mani di Svoray. Una copia della stessa mappa era giunta, negli anni Settanta, anche nelle mani della Stasi che, nel 1981, affidò al comandante Erich Mielke il compito di ritrovare le casse attraverso la cosiddetta operazione “Herbstwind”. “Ma lo Stolpsee è un lago difficile, tortuoso, la mappa non è di semplice interpretazione e le attrezzature dell’epoca non permettevano di dragarlo in maniera corretta”spiega Luca Masiello, uno dei due investigatori italiani, altoatesino come la collega Franziska Stubenruss. “Così, dopo qualche tentativo, la Stasi ritirò le sue truppe rinunciando al progetto”. Svoray, invece, sembra aver centrato l’obiettivo. Da pochi giorni i due italiani sono tornati dalla missione e raccontano al Fatto i retroscena dell’operazione: “Il team, del quale facciamo parte, oltre a Yaron e a suo fratello Ori, è formato da un’élite di investigatori, professionisti dell’indagine, ‘profilers’, esperti di storia contemporanea, che segretamente e periodicamente si tuffano in un’altra vita e affrontano mille difficoltà per seguire quella X sulla mappa, trovarla e poi scavare” spiega Masiello. “I detective si sono attivati nell’ex quartier generale della Stasi, dove hanno intervistato decine di persone anziane che vivono lungo le rive del lago. Fra queste Erich Koehler, un’arzillo ottantenne già pastore protestante e sindaco del maggior centro sullo Stolpsee, che ricorda ancora le operazioni della polizia segreta”. “Siamo certi che l’oro sia lì, e adesso tocca a noi riportarlo alla luce” aggiunge Franziska Stubenruss. “Ci sembra un atto dovuto, un riconoscimento alla storia e soprattutto il nostro modo per riportare un minimo di giustizia alle vittime dei nazisti”.