Stefano Feltri, Il Fatto Quotidiano 10/3/2013, 10 marzo 2013
DISOCCUPATI E BANCHE, INCUBO PIL
Se voleva rassicurare non ci è riuscito del tutto. Il ministro dell’Economia Vittorio Grilli commenta il taglio del rating sul debito pubblico, deciso venerdì dall’agenzia Fitch, e dice: “Il Tesoro farà di tutto per mettere in sicurezza il nostro Paese”. Fitch ha ridotto il giudizio di affidabilità dell’Italia da A- a BBB+ per tre ragioni: lo stallo dopo le elezioni, la recessione è “una delle più gravi in Europa”, la riduzione del Pil che farà saltare gli obiettivi di bilancio (tutti in percentuale sul Pil, tipo il debito che arriverà al 130 per cento nel 2013) e perché un governo debole non riuscirà ad affrontare questo disastro.
COME SEMPRE le agenzie di rating hanno un doppio ruolo: sono il termometro che misura la febbre dell’economia ma, misurandola, possono aggravarla. Secondo le analisi che si fanno in queste ore nelle banche d’affari, il taglio del rating sveglierà un po’ i mercati che osservano inebetiti l’Italia paralizzata dal voto. E quindi da lunedì ci si può attenere un po’ di ripercussioni su spread e Borsa, anche se niente di drammatico.
Più che il termometro, il problema è però la febbre. Se ha ragione Fitch e nel 2013 il Pil crollerà dell’1,8 per cento, quasi il doppio di quanto previsto dalla Banca d’Italia, saranno guai seri. Dal lato dei conti pubblici, il problema è il solito: le stime del governo sono ferme a -0,4, adattare a -1,8 o almeno a -1,5 significa rimettere in discussione i saldi preventivati (cioè accettare un deficit più alto). E se non si ottiene prima una deroga dall’Europa, si rischiano bastonate dai creditori che ci vedranno come inadempienti e inaffidabili, dunque incapaci di gestire un debito al 130 per cento del Pil. Ma di fare nuove manovre non se ne parla: anche i nostri creditori si preoccuperebbero, altri tagli e tasse (non scordiamoci che a luglio l’Iva salirà ancora) darebbero il colpo di grazia alla moribonda economia italiana.
L’UNICA SPERANZA è che in Europa il timido ravvedimento delle istituzioni e dell’asse del rigore diventi un vero cambio di linea: non si possono snaturare vincoli codificati in trattati, regolamenti e direttive. Ma si possono approvare “pacchetti” di misure su giovani, occupazione, imprese che permettano di annacquare i tetti a debito e deficit. Nel caso dell’Italia il tema più urgente è quello dei pagamenti arretrati alle imprese fornitrici della Pubblica amministrazione, tra i 70 e i 90 miliardi: bisogna pagarle emettendo debito pubblico che però non non venga però conteggiato ai fini dei parametri europei. Se ne parlerà al Consiglio europeo di giovedì e venerdì, in cui l’Italia sarà sotto osservazione particolare. Ci sarà ancora Mario Monti, un po’ indebolito dalla campagna elettorale, e spetterà a lui convincere i partner a dare fiducia a un Paese in confusione. I lenti tempi della politica sono diversi da quelli dell’economia. Se il Pil andrà a -1,8, sarà una catastrofe. I disoccupati sono già tre milioni, per fortuna la caduta del Pil negli anni della crisi non si è tradotta immediatamente dal lato dell’occupazione. Ma come nota l’Istat ogni mese la tendenza è preoccupante, anche chi non cercava lavoro ora ha finito i risparmi e ha bisogno di un reddito. Che non trova: per la Commissione europea la disoccupazione nel 2013 arriverà al 12 per cento, 700 mila disoccupati in più in due anni.
IL PROTRARSI della recessione mette a rischio anche il sistema bancario: a gennaio 2013 le sofferenze, cioè i prestiti che forse non saranno rimborsati, nei bilanci delle banche italiane erano 95,9 miliardi, calcola Bankitalia, il grosso nell’industria (24,5 miliardi) e nelle costruzioni (22,5). Senza ripresa e con una recessione più grave, quei soldi difficilmente torneranno indietro e le banche daranno sempre meno credito. E tutti quelli che tifano per una richiesta di aiuti internazionale avranno sempre più argomenti: un intervento di Bce e Fondo monetario per dare prestiti allo Stato e ripulire i bilanci delle banche. In cambio della rinuncia totale alla sovranità nazionale. Il prossimo governo avrà il suo bel da fare.