Maurizio Chierici, Il Fatto Quotidiano 8/3/2013, 8 marzo 2013
L’ORA IMPOSSIBILE DI PAPA FRANCESCO I
Le stanze di Benedetto sono vuote: con quale nome risponderà allo Scrutatore il prossimo papa che dormirà nel suo letto? Dopo l’annuncio del Conclave il pontefice prescelto ha “un intero minuto” per pensarlo. Il primo segno della Chiesa che cambia potrebbe essere il nome del successore di Ratzinger. Dal balcone nessuno ha mai annunciato “ecco Francesco”, Francesco I per ribadire l’impegno del santo che protegge l’Italia, ma sempre dimenticato dai discendenti di Pietro.
È MORTO quasi otto secoli fa, eppure nessuno se l’è sentita di abbracciarne spiritualità e dedizione assoluta alla vita degli altri. “Francesco è un nome impossibile per il carico di poteri con i quali nei secoli è stato costruito il papato: infallibilità, sovranità, controllo nella forma di ogni servizio, autorità su milioni di fedeli, responsabilità di proposte. Non è questione di umiltà personale. Francesco impone una povertà difficile a qualsiasi sovrano vaticano”. Raniero La Valle non immagina che il prossimo papa possa ricordarlo. Lo conforta la rinuncia di Benedetto XVI, che restituisce al pontefice la fragilità umana. Richiamata da Paolo VI nel suo unico a discorso a braccio dopo il Concilio: chiede alla Chiesa di diventare povera “non solo nell’essere anche nell’apparire” parole svanite nel tempo. Direttore e testimone per Avvenire negli anni del Concilio Vaticano II, La Valle oggi gira il mondo per la Rai alla ricerca degli ultimi. Fra i saggi Dalla parte di Abele, Pacem in Terris, La teologia della liberazione e la bellissima memoria Il mio Novecento. Guida i comitati Dossetti per la difesa della Costituzione. La separazione della Chiesa dalla gestione dei beni è un tormento che attraversa gli anni: lo invoca anche Heinrich Böll, Nobel per la Letteratura cresciuto nel pacifismo cattolico della Germania anno zero. “Sarà sempre troppo tardi quando Chiesa e aristocrazia si separeranno dalle loro immense proprietà, dai loro tesori, dalle ridicole, pompose cianfrusaglie di cui continuano a bardarsi. Un aspetto del mondo occidentale sono appunto le proprietà delle chiese. Terribile peso che grava sul tormentato, sofferente capo di quella che è ancor oggi la più potente delle chiese. Chi potrebbe rinunciare alla proprietà ? Chi, se non questa Chiesa che non ha discendenti ? Si fa sempre più tardi”. Era il 1969. A Castel Gandolfo papa Montini ripeteva le stesse parole: “Con questo Vaticano non ci sarà mai un papa di nome Francesco perché Francesco distruggeva le regole umane nella sola obbedienza al Vangelo. Nessuna struttura piramidale, nessuna burocrazia, nessun privilegio”. Quando scopre che un fratello dell’Ordine si costruisce una piccola casa sale sul tetto e una a una strappa le tegole: che povertà è mai questa se tanti fratelli si riparano nelle grotte della campagna? Lo ricorda Ettore Masina, vaticanista e scrittore che ha raccontato il Concilio.
Francesco veniva dalla ricchezza del padre dal quale si separa spogliandosi degli abiti davanti al vescovo e a una folla di curiosi. La povertà è la vocazione che lo fa passare per matto. “Quindi impossibile nei nostri anni che un pontefice di nome Francesco possa abitare in Vaticano. Dovrebbe vivere nel-l’ultima parrocchia di Roma”. Don Paolo Farinella, parroco nel centro di Genova di una parrocchia senza parrocchiani, ha vissuto a Gerusalemme negli anni del cardinale Martini. Studi in ebraico, aramaico, greco. Due licenze in teologia bliblica, soprattutto l’analisi religiosa e politica della Terra Santa sconvolta da repressioni e intifade. I suoi libri escono dall’editore Gabrielli. Nel 2000 pubblica il romanzo Habemus Papam, Francesco I. Dieci anni dopo lo riscrive col titolo Habemus Papam, la leggenda del Papa, ma la storia non cambia.
RACCONTA di un parroco genovese chiamato a Roma dove i padri del Conclave non trovano l’accordo e un cardinale che conosce le virtù del piccolo prete avanza l’eccentrica proposta: e se scegliessimo uno così? Parroco disarmato nei gironi della burocrazia vaticana. Papa ideale nelle mani dei manovratori. Ecco la sorpresa: appena lo Scrutatore gli si rivolge per il “quomodo vocaberis?”, come ti vuoi chiamare, il vecchio prete risponde “Francesco I”. E quando si rivolge al popolo dal trono la voce non trema: “Ho scelto il nome di Francesco non per un vezzo politico, ma perché resti come marchio di fuoco sulla mia carne. Deve essere un costante richiamo a prendere sul serio il Vangelo: la carità come legge, la povertà come stile, la comunione come metodo”.
La folla ne osserva perplessa i paramenti che brillano. “So perfettamente cosa state pensando: predichi bene ma razzoli male”. Con lentezza esasperata comincia a spogliarsi. “Depongo questo pastorale d’argento: come dice Marco, oltre un bastone non prendete nulla per il viaggio. Depongo questo copricapo anacronistico: più che un pastore mi mostra come satrapo orientale”. Si sfoglia come una cipolla: dell’anello di zafiro, della croce d’oro massiccio, dei paramenti “lussuosi che dovrebbero rendere gloria a Dio e diventano offesa per i poveri”. Resta con una tunica bianca. “E per un momento vescovi e cardinali si vergognarono di non essere nudi come Adamo e guardandosi bardati nei paludamenti nello specchio della loro anima si riconobbero ridicoli”.
In alto, Anna Finocchiaro. Qui, un’immagine di repertorio del Conclave Ansa