Stefano Feltri, Il Fatto Quotidiano 8/3/2013, 8 marzo 2013
A OGNI CRAC FINANZIARIO IL SUO SUICIDIO
Chissà se c’è un legame, se è il crac che porta alla depressione e al suicidio o se, invece, negli scandali finanziari italiani si registrano tante morti semplicemente perché all’improvviso i giornali si mettono a osservare i gruppi in dissesto e le migliaia di persone che ci lavorano. Alcune delle quali, per ragioni tutte personali, scelgono di togliersi la vita. Il dubbio non si può sciogliere quasi mai.
TRENT’ANNI dopo la morte di Graziella Teresa Corrocher, per esempio, è ancora classificato come un suicidio di una donna molto turbata. Anche se quello del suo principale, il banchiere Roberto Calvi, da tempo è stato classificato come messinscena: il padrone dell’Ambrosiano non si è impiccato da solo, sotto il ponte dei BlackFriars a Londra, il 17 giugno del 1982. Il giorno prima la signora Corrocher, 55 anni, si era buttata dalla finestra, nella sede dell’Ambrosiano in via Clerici, a Milano. “Era molto esaurita”, dichiararono all’Ansa i funzionari della banca. In un biglietto trovato nell’ufficio c’era scritto: “Sia stramaledetto per tutto il male che ha fatto al banco e a tutti noi” (il riferimento è a Calvi). Non ci sono mai state prove a sostegno delle tesi di chi non credeva al suicidio, trovando troppo opportuna la morte della Corrocher, unica persona a conoscere qualche dettaglio della gestione personalistica di Calvi (il presidente gestiva da solo anche tutte le misteriose consociate estere).
È stato ormai dimenticato, ma pochi mesi dopo, il primo ottobre del 1982, si suicida un’altra figura importante della banca: Giuseppe della Cha, 54 anni, vicedirettore centrale dell’Ambrosiano: si lancia dalla finestra di un bagno nello stabile di via Broletto. A lui i medici avevano diagnosticato una “sindrome ansiosa depressiva”, la polizia ha escluso legami con il crac dell’Ambrosiano.
Durante la stagione di Mani Pulite, si suicidano alcuni uomini d’affari protagonisti delle inchieste. I più celebri sono Raul Gardini, che stava per finire in carcere per il crac della Ferruzzi, che si spara con una pistola, una Walther PPK, ancora in accappatoio, il 23 luglio 1993. Tre giorni prima si era ucciso anche Gabriele Cagliari, presidente dell’Eni, in carcere a San Vittore dopo aver confessato di aver pagato tangenti ai partiti.
Ma negli scandali finanziari più recenti i suicidi non sono legati direttamente agli arresti. Ai tempi del crac della Parmalat, nel 2004, si lancia da un ponte alto 12 metri Alessandro Bassi, 42 anni, il capo della contabilità industriale dell’azienda. Il suo capo era Fausto Tonna, il ragioniere che gestiva le finanze assieme al presidente Calisto Tanzi. Il pm Vincenzo Picciotti dichiarò che: “Vista la sua posizione era in grado di fornire elementi utili all’inchiesta, ma né nel corso dell’ interrogatorio né successivamente sono emersi elementi o anche solo sospetti sulle sue responsabilità”. E quindi? Anche lui, come David Rossi del Monte Paschi aveva avuto una lunga telefonata prima di lanciarsi nel torrente Ceno. I magistrati non trovarono legami con la vicenda giudiziaria, ma neppure c’erano ragioni personali evidenti per spiegare il gesto.
DISCORSO DIVERSO per Ma-rio Cal, il braccio destro di don Luigi Verzé che si è sparato il 18 luglio, nel suo studio al San Raffaele, mentre i guai finanziari del gruppo sanitario arrivavano all’epilogo. Qualche piccolo mistero c’è: non si trova l’ogiva del proiettile, i pm sono perplessi nello scoprire che l’arma è stata spostata e messa in un sacchetto (pare da un dipendente). Pochi giorni prima Cal aveva discusso con suo nipote se una Smith&Wesson fosse sicuramente mortale. Il nipote gli aveva risposto che la Magnum era l’unica con cui si poteva andare sul sicuro. La segretaria di Cal racconterà poi ai giudici che ogni mese i fornitori portavano buste in contanti in ufficio, “retrocessioni” per creare fondi neri.
Roberto Calvi Ansa