Antonio Polito, Corriere della Sera 10/03/2013, 10 marzo 2013
QUELLE LEGGI ANTIMATRIMONIO
Tranne che in una parte del mondo gay, dove va di moda, il matrimonio non se la passa molto bene. Si sa del calo numerico: in tre anni, quarantamila nozze in meno. Sempre più forte è la concorrenza di altre forme di vita familiare, dai single ai conviventi, alle coppie di fatto: 12 milioni di italiani, circa il 20% dell’intera popolazione, vivono oggi al di fuori della famiglia tradizionale, e sono il doppio di quanti erano appena quindici anni fa. Ma quello che si vede meno è la pletora di leggi e regolamenti che in Italia disincentivano a sposarsi.
Gli esempi sono tanti. Uno è stato raccontato di recente dal Corriere: l’università di Genova ha emesso una circolare che proibisce di assumere docenti sposati con altri docenti che già insegnano nell’ateneo. Intervenendo sul caso di una ricercatrice moglie di un professore ordinario, il Senato accademico ha così esteso ai coniugi una norma della legge Gelmini che punta meritoriamente a contrastare il diffusissimo fenomeno del nepotismo baronale. Però, si sa, il nepotismo è subdolo, e si insinua anche nelle coppie di fatto, nelle coppie clandestine, nelle coppie omosessuali. Ma siccome tutte queste forme di relazione non sono disciplinate dalla legge, come si fa a inserirle in un divieto? Ecco così il paradosso: un aspirante ricercatore dell’Università di Genova in amore con un collega farà dunque bene a non impalmare o farsi impalmare intra moenia.
Il che già accade in Rai. Chi abbia dovuto compilare un modulo per una collaborazione temporanea con l’azienda di Viale Mazzini sa infatti che contiene un’esplicita domanda circa l’esistenza in Rai di parenti e affini, al fine di evitare accuse di favoritismo. Ma le redazioni sono galeotte, e Cupido colpisce di preferenza nei luoghi di lavoro. Che si fa in quel caso? Non si fa. Conosco una giornalista che, pur fidanzata con un collega, non l’ha sposato con rito civile finché è rimasta precaria. Trattandosi di una signora credente, ha fatto ricorso al matrimonio religioso per santificare la sua relazione; ma si può immaginare che molte altre coppie, meno devote, abbiamo preferito la convivenza o la clandestinità.
Chi ha già fatto una volta l’esperienza del matrimonio è d’altra parte sconsigliato dal riprovarci; non solo dal comprensibile timore di un nuovo insuccesso, ma anche dalla rigidità delle norme che regolano sia le separazioni sia i divorzi. Intanto il procedimento è lungo, porta via anni, e a quelli richiesti dalla legge si aggiungono quelli imposti dalla burocrazia, perché in Italia nessun atto è valido se non è stato prima «registrato». Ma anche quando finalmente arriva la sentenza di divorzio, risposarsi può essere economicamente costoso per il coniuge (più spesso la donna) che riceve un assegno di mantenimento, perché così lo perderebbe. Se poi il nuovo compagno è anch’egli divorziato, cosa che accade di frequente, su di lui continuerebbero a pesare invece gli oneri derivanti dal vecchio matrimonio. Tutto così complicato che in tanti lasciano perdere. Questa difficoltà ha effetti anche sul calo delle nascite: in condizioni così precarie è ovviamente più difficile programmare figli. Si può anzi dire che ci sono padri separati i quali stabiliscono rapporti con le nuove compagne sulla base della condizione che esse accettino di non fare figli, perché credono di non poterselo permettere. Un caso estremo mi è stato raccontato da un quarantenne, separato, padre di due figli e determinato a non averne altri: la sua nuova donna ne voleva invece così tanto uno, che se l’è fatto da sola in Spagna con la fecondazione eterologa (donazione di sperma) con l’accordo che lui non lo riconoscesse come proprio. Motivi economici frenano anche il matrimonio tra anziani vedovi. E non è fenomeno sociale irrilevante. Chiunque abbia la fortuna di avere una madre o un padre, una nonna o un nonno, in buona salute e in tarda età, sa che la loro vita di relazione, soprattutto nel Centronord dove ci sono più luoghi pubblici che la ospitino (pensiamo alle balere, ai centri anziani, alle case del popolo), è intensa, ricca di occasioni e mai priva di fremiti affettivi e sessuali. Molte coppie nascono, ma restano fuori dal matrimonio per evitare di perdere i benefici della condizione di vedovi, dall’uso della casa all’assegno di reversibilità.
C’è poi il mondo a sé dei matrimoni tra extracomunitari. Una parte non piccola di questi sono infatti fasulli, combinati, un modo per far entrare parenti e amici in Italia sotto la fattispecie del «ricongiungimento familiare». Lo strumento giuridico è dunque abusato, spesso con conseguenze anche sullo status della prole. Se infatti la moglie di un matrimonio finto si innamora e fa un figlio con un potenziale vero marito, la donna può diventare una mamma single nonché sposata. Condizione sicuramente singolare, ma che non sempre dispiace a una madre che abbia il resto della sua famiglia nel Paese di origine, e che può così uscire ed entrare col minore dall’Italia senza dover dipendere dall’autorizzazione di un uomo che non è neanche il padre biologico.
Sono tutti casi in cui gli sposati stanno peggio dei non sposati. Se ne può trarre motivo per una polemica politica, e i sempre più sporadici difensori del matrimonio la fanno, protestando contro quella che ritengono essere un discriminazione, magari politicamente corretta ma pur sempre una discriminazione. Ma forse ancora più interessante sarebbe cominciare a chiedersi se l’istituto giuridico del matrimonio, così come è regolato nel nostro diritto, non sia diventato troppo rigido per una società tanto flessibile, e se non debba essere reso anch’esso più flessibile per poter continuare ad esistere e funzionare. Fermi restando gli obblighi che generare figli produce in ogni caso verso i minori, sarebbe forse utile offrire una scelta più ampia tra varie forme matrimoniali, per esempio lasciando ai coniugi di pattuire tra di loro le condizioni legali della loro unione, limitando invece gli obblighi che essa produce inevitabilmente verso la collettività. Oppure rivedendo le norme sull’asse ereditario, per consentire un uso più discrezionale del proprio patrimonio (questione non di poco conto nel passaggio generazionale delle imprese familiari). Insomma: bisognerebbe provare a salvare il matrimonio da se stesso.
Antonio Polito