Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  marzo 10 Domenica calendario

TASSE E IMPRESE. LA LETTONIA APRE LA CORSA AL RIBASSO - È

forse arrivato il momento di guardare i piccoli. Mentre i grandi Paesi dell’Unione teorizzano e litigano su come salvare l’euro, è dalle Nazioni minori che arrivano le innovazioni: pur nel quadro di austerità generale, nel Nord Europa sembra arrivata la stagione del taglio delle tasse alle imprese. In alto, a destra, sulla mappa del Vecchio Continente, ci sono quelli che possono essere considerati i paradisi per chi voglia aprire un business oggi in Europa: le tre repubbliche baltiche.
Sin dal crollo dell’Unione Sovietica, Estonia, Lettonia e Lituania hanno scelto la strada della bassa corporate tax per attrarre investimenti. E della buona governance per stabilizzare l’economia. Con successo, si può dire, se l’Estonia è già membro dell’Eurozona, la Lettonia ha chiesto nei giorni scorsi di diventarlo e la Lituania entrerà probabilmente nel 2015.
La Lettonia ha un’imposta societaria pari al 15% e una sui dividendi del 10%. La flessibilità concessa alle imprese è però ampia: per quel che riguarda la determinazione della base imponibile e delle deduzioni e soprattutto grazie al cosiddetto Group Relief, la possibilità cioè di compensare (ridurre) i profitti tassabili di una società con le perdite registrate da un’altra dello stesso gruppo, basta che siano entrambe basate nella Ue. L’Estonia ha invece un’aliquota societaria più alta ma ha un sistema originale che la rende interessante: l’imposta non scatta quando si realizza il profitto ma solo quando l’impresa distribuisce un dividendo. Se dunque un’impresa fa utili può anche non pagare imposte, se non li distribuisce: opzione che lascia ovviamente notevoli flessibilità fiscali. In Lituania la corporate tax è del 15%.
Parecchi governi temono la concorrenza fiscale. Per dire, nonostante la devastante crisi che l’ha colpita, l’Irlanda ha difeso la sua corporate tax al 12,5%, si è rifiutata di alzarla in quanto questione di interesse nazionale nonostante a un certo punto qualche governo — in testa quello francese — pretendesse lo facesse, pena la non erogazione degli aiuti europei. Per Paesi come Italia, Francia, Spagna, Germania, Belgio che applicano tasse societarie sopra al 30% il timore che interi pezzi di business emigrino verso giurisdizioni fiscali molto più favorevoli è consistente. Il guaio, per loro, è che sembra proprio debbano fare i conti non più solo con i piccoli stati baltici o con l’Irlanda ma anche con i più significativi Paesi nordici.
Dall’inizio dell’anno, in Svezia le imprese pagano un’aliquota del 22%, ben inferiore al 26,3% precedente. La Danimarca, dove l’aliquota è del 25%, ha deciso di ridurre gradualmente, in tre anni, la tassa al 22%. La Finlandia, dove la corporate tax è già bassa, al 21%, sta discutendo di abbassarla in misura significativa, almeno di tre punti percentuali. La Gran Bretagna è già scesa dal 26 al 24% e entro l’anno prossimo arriverà al 21.
La corsa ad abbassare le imposte societarie nei Paesi nordici è una tendenza estremamente interessante: società che per decenni hanno scelto la strada di un’alta tassazione complessiva in cambio di un elevato livello di Welfare State stanno in parte cambiando strategia. Per un verso lo fanno perché si sono rese conto che il sistema di Welfare va riformato e non in tutti i suoi aspetti dà risultati positivi. Per un altro, si sono rese conto di aver grandi carte da giocare nella competizione economica globale e vogliono essere attraenti per le imprese sotto tutti i profili. Quello delle tasse è uno. Ma al fianco di esso c’è la capacità di questi Paesi di essere sempre nelle rime posizioni delle graduatorie globali di competitività, di facilità di fare business, di bassa corruzione, di alto livello di educazione, di capacità innovativa, di prosperità. Posti freddi ma, ciò nonostante, attraenti per imprenditori e per persone di talento. Buoni per fare business.
La novità, nei Paesi nordici, non è che hanno rinunciato al Welfare State per abbassare le tasse: affatto. E nemmeno che hanno ridotto le imposte sulle aziende per ragioni ideologiche: pochi Paesi, anzi, sono più pragmatici. Non è cioè da uno scontro tra Stato e mercato che sta uscendo il nuovo modello nordico, vichingo, battezzato qualche settimana come «The Next Supermodel» dal settimanale Economist. È dalla straordinaria governance di questi Paesi che nasce la possibilità di tagliare le tasse, tenere alti i servizi ai cittadini, limitare gli sprechi, fare tendere la corruzione verso lo zero. Da governi che seguono politiche in gran parte by-partisan, nelle quali il contenuto e l’interesse della Nazione contano in genere più delle divisioni, per cui le politiche hanno continuità e si misurano sui tempi lunghi. Paesi non grandi, poco popolati anch’essi. Forse è che la capacità di innovare (e tagliare le tasse) è un dono dei piccoli.
Danilo Taino