Sergio Romano, Corriere della Sera 10/3/2013, 10 marzo 2013
Ho letto in un suo libro qualche breve accenno alla figura di Filippo Anfuso, ambasciatore a Berlino negli ultimi anni della Seconda guerra mondiale
Ho letto in un suo libro qualche breve accenno alla figura di Filippo Anfuso, ambasciatore a Berlino negli ultimi anni della Seconda guerra mondiale. Le sarei grato se potesse delineare i tratti culturali e politici e il ruolo svolto da questo diplomatico di carriera. Che giudizio storico oggi se ne può dare? Antonino Venero Rapisarda venero@alice.it Caro Rapisarda, Filippo Anfuso fu il gemello politico di Galeazzo Ciano, la sua ombra, il suo alter ego. Quando si conobbero nei salotti e nei caffè romani, all’inizio degli anni Venti, scoprirono rapidamente di avere in comune difetti e virtù. Avevano ambizioni letterarie e giornalistiche, erano spigliati, brillanti, fisicamente attraenti. Ma Anfuso, nato a Catania nel 1901, era più vecchio di Ciano (nato a Livorno nel 1903), aveva già pubblicato una raccolta di poesie, era stato legionario a Fiume con D’Annunzio, aveva scritto corrispondenze dalla Polonia e dalla Germania dopo la fine della guerra. Prepararono insieme il concorso diplomatico ed entrarono a Palazzo Chigi (allora sede del ministero degli Esteri) nel 1925. Gli archivi della carriera segnalano che fra i 35 vincitori di quel concorso Anfuso fu primo e Ciano ventisettesimo. Anfuso avrebbe avuto la parte del fratello maggiore, quello destinato a posti di grande impegno e responsabilità, se il capriccioso amore di Edda Mussolini per il giovane livornese non avesse rovesciato i ruoli. Ciano divenne rapidamente ministro degli Esteri per meriti familiari e Anfuso fu da allora, per molti anni, il suo capo di gabinetto. Ma i loro rapporti non cambiarono. Ciano amministrava, sotto la guida di Mussolini, la politica estera del regime, ma Anfuso governava il ministero. Erano anche, per molti aspetti, complementari: più espansivo ed estroverso il primo, più sottile e riflessivo il secondo. Quando una missione richiedeva abilità, prudenza e discrezione, Anfuso diventava il rappresentante di Ciano, la sua voce nell’ombra, il tessitore delle sue trame. Fu questa la ragione per cui venne accusato di avere organizzato l’assassinio dei fratelli Rosselli a Bagnoles-de-l’Orne nel giugno 1937 con l’aiuto della Cagoule, una società segreta dell’estrema destra francese. Ma dai due processi celebrati dopo la guerra (il primo in Francia, il secondo in Italia) Anfuso uscì assolto. Il momento della verità, per Ciano, fu la riunione del Gran Consiglio del fascismo, nella notte del 25 luglio 1943, quando venne in discussione l’ordine del giorno di Dino Grandi contro Mussolini. Il momento della verità per l’amico fu la telefonata con cui Mussolini, il 13 settembre 1943, quando Anfuso era a Budapest come ministro d’Italia, gli chiese di aderire alla Repubblica Sociale. Ciano votò con Grandi contro il suocero, Anfuso ripeté ciò che aveva scritto in un telegramma, qualche ora prima: «Duce, con voi sino alla morte». Furono due scelte radicalmente diverse, ma erano entrambi convinti, ciascuno a suo modo, di fare la cosa giusta per il futuro del loro Paese. Anfuso fu più fortunato di Ciano. Divenne ambasciatore a Berlino, dove fece del suo meglio per difendere gli internati italiani in Germania, vagò per l’Europa dopo la fine del conflitto sino a quando fu arrestato, imprigionato e processato in Francia. Dopo un soggiorno spagnolo, durante il quale divenne nuovamente giornalista, tornò in Italia e fu eletto alla Camera nel 1953 con le liste del Movimento sociale italiano. Morì dieci anni dopo in Parlamento, stroncato da un infarto. Se vuole altre notizie, caro Rapisarda le troverà nel suo libro di memorie pubblicato dalle edizioni Settimo Sigillo. È un’orazione «pro domo mea» in cui non tutto è necessariamente vero. Ma è un appassionante libro d’avventure, pieno di episodi interessanti e, per di più, scritto bene.