Fabrizio Roncone, Corriere della Sera 10/3/2013, 10 marzo 2013
ROMA —
Le porte dell’ascensore si aprono cigolando sul corridoio del primo piano. Il corridoio è deserto. Dai finestroni entra la luce bianca di una giornata uggiosa.
Palazzo di Montecitorio, venerdì mattina.
Dietro l’angolo, seduta alla sua scrivania, una commessa è immersa nella lettura di qualcosa (alza di colpo lo sguardo, senza riuscire a trattenere un filo di imbarazzo).
«Mhmm... Desidera?».
Cosa sta leggendo, signora?
«Io... ehm... questo, intende?».
Sì, cos’è quell’album? Di chi sono quelle foto?
«Sono le faccette dei parlamentari che arriveranno tra qualche giorno. La maggior parte di loro, per me, sono volti del tutto sconosciuti. Così...».
Molto professionale.
«Molto prudente, direi. Non voglio sbagliare nomi, non voglio problemi. Specie con i grillini...».
La preoccupano i grillini?
«L’altro giorno sono venuti a farsi un giro. Certe occhiate severe, certe smorfie...».
Arriva un operaio che spinge un carrello carico di stampanti. Colpi di martello. Rumore di trapano. Falegnami rimontano l’anta di un armadio. «E mo’ però questo ndo’ lo mettemo?». Si volta un energumeno sudato: «Lo portate al sesto piano, al Pdl. Mentre le poltroncine dell’Udc, dal quinto piano, le portate giù... tanto l’Udc nun ce sta’ più».
Veramente l’Udc, qui, nell’ala riservata ai gruppi dei partiti, continuerà a esistere (sebbene i suoi deputati siano scesi da 36 a 8). Spariti davvero, in questa legislatura che sta per cominciare, sono Fli e Idv. Le stanze che aveva occupato Antonio Di Pietro sono considerate tra le più belle. Vorrebbero assegnarle a quelli del M5S, ma si sono sentiti rispondere così: «Non ci importa niente che le stanze siano prestigiose... Noi vogliamo solo stanze grandi, dove poter stare almeno in dieci. Nessuno di noi grillini deve lavorare da solo. Più siamo a contatto, più riusciamo a sorvegliarci l’un l’altro».
Luciano Violante, per anni, è stato magnificamente da solo in quella stanza laggiù. Ora che l’ha lasciata, è una delle stanze più ambite. Tra l’altro nessuno ha ancora osato spiegare ai grillini che dovranno dividersi obbligatoriamente: qui, infatti, hanno diritto a un ufficio solo il presidente del gruppo, il suo vice, il segretario d’Aula, il responsabile del servizio legislativo, l’ufficio stampa. Tutti gli altri finiranno nel palazzone di piazza San Silvestro, destinato a diventare un alveare (in verità, ai grillini è stato per ora pure taciuto che, di tanto in tanto, sulle terrazze dei gruppi è diffusa l’abitudine di festeggiare compleanni, fidanzamenti, addii al celibato).
C’è un’atmosfera di cupa attesa, qualcosa di molto simile a quando sui palazzi di Roma Ladrona calarono i primi leghisti duri e puri (poi, come sappiamo, scoprendo i bucatini all’amatriciana e la coda alla vaccinara, cominciarono a sporcarsi le cravatte, e le mani).
C’è un malcelato desiderio di attenuare lo sfarzo, di celare il privilegio più evidente. Impiegati solerti hanno davvero smontato le targhette che, accanto agli ascensori, ammonivano: «Riservato ai deputati». Giù, all’ufficio postale, è sparita l’insegna: «I deputati hanno la precedenza». La buvette, già da anni assai in declino, sembra ormai il bar dell’aeroporto di Islamabad.
Il Transatlantico è deserto, emozionante, i passi rimbombano. In sala stampa, il decano dei cronisti parlamentari Giorgio Frasca Polara legge le agenzie sul computer, un gruppo di ex portavoce e portaborse rimasti senza lavoro (i deputati del Pdl da 202 sono diventati 98, Futuro e libertà ne aveva 24, la Lega da 58 è scesa a 18) confabula immaginando possibilità di nuovi ingaggi, senza ancora sapere che la capogruppo grillina Roberta Lombardi, con un post sul sito del movimento e su Facebook, ha annunciato che «gli assistenti dei deputati verranno scelti con un bando online attraverso la rigorosa selezione dei curriculum».
La ragazza dietro al bancone della celebre tabaccheria interna si rifiuta di dire quali deputati erano soliti acquistare certi sigari Davidoff in vendita a 83 euro, ma sussurra: «Comunque un’epoca mi sa che sta per concludersi...». Mariastella Gelmini sbuca solitaria da una stanza e viene da pensare che i potenti del Pdl traslocano tutti al Senato (Maurizio Lupi, comunque, resta; però — per dire del clima — avverte: «Sono stato vicepresidente della Camera e come tale ho avuto diritto a un piccolo appartamento che, ovviamente, mi appresto a restituire...»).
A Palazzo Madama stanno per arrivare Berlusconi, Verdini, Bondi, Ghedini. Non sarà facile trovare uffici adeguati al rango. I senatori del Pdl fanno base in un palazzetto di piazza delle Cinque lune, dove già dilaga l’apprensione.
Una segretaria — («Per carità del Signore mi faccia però restare anonima, eh?») — ammette: «Stiamo impazzendo».
Può essere più precisa?
«No, dico: a tipi come Ghedini, come Verdini, possiamo metterli in un angoletto? Ce l’ha presente Ghedini, vero?».
Capiranno.
«Eh, speriamo... L’altro giorno, per esempio, ci è stato detto: guardate che Minzolini è simpatico e competente, ma è anche uno che adora il lusso... sappiate accoglierlo».
Nel Pd i guai logistici sono un poco più seri. La maggior parte dei senatori aveva infatti l’ufficio nell’ex hotel Bologna, dove però il contratto di affitto è stato chiuso. In attesa di poter entrare in possesso dei palazzi di largo Toniolo e piazza Capranica, qualche decina di senatori rischia perciò di restare senza stanza: probabile che vengano sistemati in una sorta di acquario allestito nella Sala Capitolare, sedie invece che poltroncine e scrivanie dozzinali, niente a che vedere con i bei tempi andati del centrosinistra, quando — appena giunto a Palazzo Madama — Willer Bordon volle dotarsi della scrivania che fu di Aldo Moro.
I fasti del passato, le regole del passato.
Confermato che, per entrare in Aula, i senatori dovranno indossare giacca e cravatta. Ai commessi sono stati impartiti ordini precisi. «Non si faranno eccezioni. E se qualche grillino arriva con il maglione e si mette a urlare, lasciatelo urlare».
Fabrizio Roncone