WWW.REPUBBLICA.IT, 9 marzo 2013
I servizi di dating online sono i bar di questa generazione. Fino a pochi anni fa ci si incontrava davanti a una birra o a un cocktail
I servizi di dating online sono i bar di questa generazione. Fino a pochi anni fa ci si incontrava davanti a una birra o a un cocktail. Ora ci si incontra nei siti per gli incontri. Molti ragazzi della mia età lo preferiscono di gran lunga: perché andare a riempirsi d’alcool, spendere un sacco di soldi e tirar tardi? Incontrare ragazze sul web è un modo molto più civile. Anzi, è cool. Perché «è hi-tech, all’avanguardia. Avventuroso». Parola di Dan Slater, il brillante, giovane e fotogenico autore di Love in the time of Algorithms, il bestseller uscito negli Stati Uniti da poche settimane che, smitizzando molti dei luoghi comuni su chi, come e perché ricorre all’online, ne decreta l’accettabilità sociale e perfino il bon ton. Trentacinque anni, ex giornalista del Wall Street Journal, Dan è sposato da poche settimane con Sophie, un’insegnate di yoga conosciuta anni fa durante una lezione e ri-incontrata grazie a Facebook. Slater spiega di avere avuto l’idea di scrivere questo libro dopo avere lui stesso utilizzato siti di incontri per conoscere ragazze. Ma perché il dating online? Lei era un tipo timido, bisognoso di anonimato per iniziare una conversazione? Uno incapace di rimorchiare? «Io stesso ero prevenuto. Vedevo con sospetto questi servizi. Avevo 31 anni e continuavo a ripetermi che non era il modo giusto per incontrare persone. Mi pareva fosse qualcosa per gente strana, persone socialmente goffe che non sanno come comportarsi in mezzo alla gente». E invece? «Sono stato sedotto dalla tecnologia. La mia generazione è abituata a integrarla nella vita di tutti i giorni. C’è qualcosa di irresistibile in un prodotto che con grande precisione crea abbinamenti che, nella vita quotidiana, sono molto più difficili da realizzare». Lo trova un approccio rivoluzionario? «Non proprio. La tecnologia cambia, ma il principio è lo stesso. Quando fu introdotta l’automobile, divenne lo strumento per trovare l’anima gemella al di fuori della cerchia limitata in cui si era cresciuti. Il cinema creò un luogo dove appartarsi lontani dalla famiglia. Il telefono permise di coltivare una relazione anche a distanza. Internet è un ulteriore salto di qualità tecnologico». Lei viveva a New York, una metropoli: non aveva un giro ampio a sufficienza per conoscere ragazze? «Avevo appena finito una relazione e contemporaneamente facevo parte di un’ondata di giornalisti licenziati dal Wall Street Journal in fase di ridimensionamento. Benché fossi un tipo aperto e propenso a socializzare, mi ritrovavo a lavorare da casa come freelance e dunque senza l’interazione quotidiana col mondo del lavoro. È stata la solitudine a farmi andare su Match.com». Perché ha scelto proprio Match.com? «È un brand per il mercato di massa. Vi si accede con un abbonamento a pagamento e ha la reputazione di attirare gente seria con reali intenzioni di fare incontri romantici. Inoltre è un sito tecnicamente molto sofisticato, fatto bene, facile da navigare, diviso in categorie molto chiare». Gli altri siti sono diversi? «Per esempio e-Harmony è ritenuto un sito per persone che non desiderano solo avviare una relazione, ma cercano proprio un compagno o una compagna per la vita con cui sposarsi. Ok Cupid invece è per persone che cercano relazioni meno impegnative». La tecnologia dietro a questi siti è sempre la stessa? «No, ci sono differenze sostanziali. Certi siti immagazzinano le informazioni esattamente come vengono fornite da un abbonato e, attraverso i loro algoritmi, creano l’abbinamento fra sconosciuti. Altri invece ritengono di conoscere i loro abbonati meglio di quanto gli abbonati non conoscano loro stessi». Una persona insomma riempie un lungo questionario online, ma l’algoritmo interpreta le informazioni in modo diverso, più approfondito? «Esattamente. Le faccio un esempio che mi è stato fatto da dirigenti di siti di dating online. Molte spesso ci sono donne che indicano di non essere attratte da uomini con barba e baffi. Ma quando incominciano a esaminare profili online maschili, il sito registra se una donna passa del tempo a esaminare schede di uomini barbuti e baffuti. L’algoritmo, quindi, elabora questo comportamento e aggiusta il tiro. In altre parole: presta meno attenzione alla preferenza indicata razionalmente che ai dati di fatto». Mi sono sposato per calcolo Algoritmo. Il titolo stesso del suo libro usa questa parola difficile da digerire. Spieghiamola in termini più accessibili. «È un termine che incute soggezione. In realtà possiamo dire che si tratta di un processo che, nel caso di un servizio di dating, serve per arrivare a una combinazione ottimale. Ogni sito mette a punto un proprio algoritmo. Alcuni ricorrono al sistema della triangolazione». Ovvero? «Poniamo che io, il trentacinquenne Dan, indichi nel mio questionario che desidero incontrare donne fra i 30 e i 40 anni. L’algoritmo però rivela che ci sono altri uomini con il profilo simile al mio interessati a donne fino ai quarantacinque anni. Ricorrendo alla triangolazione, l’algoritmo applica anche a me la preferenza di altri abbonati». E funziona? «Secondo certi rami della psicologia, la gente non conosce se stessa bene come crede. Soprattutto nel campo delle relazioni sentimentali, la gente pensa di essere alla ricerca di determinate caratteristiche - fisiche o di personalità - quando in realtà ne desidera altre». Sembra un atteggiamento un po’ paternalistico... «E-Harmony è un esempio classico di sito che si fa forte del fatto di essere stato progettato da un esperto in relazioni matrimoniali. Il fondatore è un uomo anziano che ha passato gran parte della sua vita a fare terapia di coppia. Per lui inizialmente non è stata una questione di tecnologia, bensì di ricorrere all’abilità degli psicologi per creare accoppiamenti validi e credibili. Secondo lui la tecnologia era solo uno strumento d’appoggio, perché la struttura di base era la psicologia applicata alle 450 domande del questionario, attraverso cui si arriva a 29 livelli di compatibilità. Un approccio un po’ vecchio stile, che però continua a funzionare». Gli algoritmi sono in grado di identificare anche gli impostori, quelli che danno false informazioni su di sé? «Diciamo che sono in grado di minimizzarne l’impatto. Poniamo che un abbonato indichi di essere alla ricerca di un partner duraturo, ma che la metodologia con cui esamina i profili di potenziali abbonati indichi intenzioni differenti. L’algoritmo “capisce” le vere intenzioni e aggiusta il tiro». Il dating online è solamente il primo passo. Poi ci sono gli incontri in carne e ossa. È diverso cercare di creare una relazione se il primo passo è fatto online? «Ci sono sicuramente implicazioni. La più frequente è quando e se eliminare il proprio profilo dal sito. Toglierlo o lasciarlo è un indicatore di quanto ci si sente sicuri nella relazione che si sta formando. È come dichiarare che non si è più a caccia. Prima era più facile far finta di niente. Ora è più difficile che l’altra persona non venga a sapere se abbiamo abbandonato il campo di ricerca oppure no». In conclusione, questi siti funzionano? «Bisogna ricordarsi che sono un business. Il loro scopo è far sì che l’utente ci torni spesso e ci rimanga il più a lungo possibile. È così che fanno soldi. Ma sanno di avere fra le mani un prodotto eccellente che offre un ottimo servizio. I numeri parlano chiaro: ci sono circa 90 milioni di single negli Stati Uniti e un terzo di questi continua a fare uso di servizi online per gli incontri. Trenta milioni di persone di ogni età, genere, razza e livello economico in tutto il paese. Non è stata una moda passeggera. È un fenomeno che continuerà a diffondersi». (08 marzo 2013)