Nino Materi, il Giornale 8/3/2013, 8 marzo 2013
Premessa d’obbligo in tre punti per evitare una nuova letteraccia da parte del sindaco di Colobraro, meraviglioso paesino in Basilicata: 1) Gli iettatori non esistono 2) la dicerìa sugli abitanti di Colobraro che «portano sfortuna» è solo una dicerìa 3) la superstizione è roba da cretini
Premessa d’obbligo in tre punti per evitare una nuova letteraccia da parte del sindaco di Colobraro, meraviglioso paesino in Basilicata: 1) Gli iettatori non esistono 2) la dicerìa sugli abitanti di Colobraro che «portano sfortuna» è solo una dicerìa 3) la superstizione è roba da cretini. Cose ovvie un po’ per tutti, ma non per il primo cittadino del piccolo centro del Materano che 5 anni fa si adirò non poco per un nostro innocuo articolo, bonariamente ironico sulla sinistra «fama» di cui gode il comune lucano. Anche in quell’occasione lo spunto per parlare di Colobraro arrivò da una sentenza giudiziaria in tema di «iettatura». Ma il sindaco non gradì e, intervistato dal Quotidiano della Basilicata, ce ne disse di tutti i colori: «stampa spazzatura», «nefandezze», «articolo di infima qualità», «informazione distorta» e via offendendo; dulcis in fundo la consueta minaccia di «querela per diffamazione» con tanto di «risarcimento per danni all’immagine». Buuum. Il tutto solo per aver scritto ciò che - scherzosamente - in Basilicata è sulla bocca di tutti: «Quelli di Colobraro portano iella». E giù risatine e... toccatine. I primi a darsi di gomito sono proprio alcuni abitanti di Colobraro che - per «competenza» (calma sindaco, non si adiri...) - hanno commentato umoristicamente sul web la recente decisione della Suprema corte che ha confermato la condannato per diffamazione di un imputato, colpevole di aver dato dello «iettatore» a un suo compaesano. Nello specifico la quinta sezione penale della Cassazione ha rigettato il ricorso di un dj dell’emittente radiofonica Radio Regio Stereo, operante ad Altamura, condannato dalla Corte d’Appello di Bari per diffamazione verso diverse parti offese. Nei confronti di una di queste, l’imputato aveva detto che «porta male», tanto che «devo toccar ferro perché porta anche sfortuna». Per i giudici di piazza Cavour «è ampiamente e dolorosamente noto che il sapere superstizioso - diretto a distinguere e a disprezzare categorie sociali, identificate per sesso, religione, colore della pelle, provenienza geo politica, etnica, culturale - ha condotto a ingiustificate emarginazioni e disumane persecuzioni». Ragion per cui - sempre a giudizio degli «ermellini» - «commette il reato di diffamazione chiunque adoperi termini che risultino offensivi, in base al significato che essi vengono oggettivamente ad assumere, a prescindere dal loro spessore culturale e dalla loro base scientifica, nella comune sensibilità di un essere umano, collocata in un determinato contesto storico e in un determinato contesto sociale». Motivazioni che però non convincono affatto alcuni abitanti di Colobraro che vedono in queste parole una sorta di involontaria «legittimazione della superstizione». Il ragionamento popolare - più in punta di buon senso che in punta di diritto - non fa una grinza: se infatti l’«energia nefasta» dello iettatore è un’energia inesistente, anche la carica diffamatoria del termine «iettatore» dovrebbe essere nulla. A Colobraro l’hanno capito bene, tanto che su questa storia della «iella» ci giocano su anche a livello di attrazione turistica. Come? Con la tradizionale manifestazione «Sogno di una notte ... a quel paese», come si legge su manifesti e volantini. Il nome di Colobraro, meglio non scriverlo. Non si sa mai...