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 2013  marzo 08 Venerdì calendario

RECORD A WALL STREET (ANCHE DI SENZATETTO)

New York, record a Wall Street e record di homeless nelle strade. Battuto martedì scorso il record di 14.198 punti dell’ottobre 2007, alla Borsa l’indice Dow Jones è cresciuto anche mercoledì e ieri, a metà giornata, continuava ad avanzare. Ma in questi giorni sono stati pubblicati anche numeri meno lusinghieri: oltre che della finanza, New York è la capitale del disagio sociale con le sue 50 mila persone costrette a cercare riparo ogni sera negli shelter del Comune. Alle quali vanno aggiunti i senzatetto che dormono all’aperto o nelle stazioni del metrò. Un poco invidiabile record, quello di New York, che ha anche il primato negli Usa dei bambini (21 mila, l’1 per cento del totale) senza una casa. Numeri che hanno un significato relativo, bisogna stare attenti alla demagogia: gli homeless crescono nonostante la crociata del sindaco Bloomberg che si è impegnato nei programmi di edilizia popolare. Proprio questo può aver attirato a New York gente senza fissa dimora da altre parti del Paese.
Ma lo stridente contrasto resta e aiuta a capire che il record di Wall Street maschera una realtà meno brillante di quella che appare. Ed è anche un ulteriore sintomo di una crescente divaricazione tra risultati finanziari e numeri del lavoro e dell’economia: un gap che sta diventando un’emergenza sociale e politica, e non solo negli Stati Uniti. Certo, vista dall’Europa in recessione delle politiche di rigore fiscale troppo accanite, quello dell’America appare un caso virtuoso o quasi. Molti dati, dalla ripresa delle costruzioni al contenimento dei costi di produzione che aiuta l’export, sono positivi. E il record del Dow serve anche all’economia reale: sostiene il patrimonio delle famiglie che hanno investito e le pensioni che vengono dai fondi privati. Ma non per questo ci si deve nascondere che quello del record è uno specchio deformato da fenomeni in parte americani, in parte planetari. Per quanto riguarda gli Usa, questo record (che non tiene conto dell’inflazione: manca ancora un 8 per cento per arrivare allo stesso livello del 2007 in termini reali) è soprattutto figlio delle politiche della Federal Reserve (iniezioni di liquidità e «tasso zero») che hanno favorito lo spostamento dei risparmiatori dalle obbligazioni alle azioni. Sull’indice pesa, poi, la capacità delle multinazionali di guadagnare molto all’estero, soprattutto nei Paesi emergenti (aziende come Microsoft, Coca Cola e Intel fanno il 70-80 per cento degli utili fuori dagli Usa).
Ma c’è anche un boom interno dei profitti che, se testimonia della vitalità delle imprese e della loro capacità di ristrutturarsi e competere, è anche il termometro di una crescente divaricazione dei conti delle aziende rispetto all’economia reale e al lavoro. Scelte politiche, effetti della globalizzazione e, soprattutto, impatto della rivoluzione tecnologica stanno accentuando il fenomeno anche negli Usa dove a fine 2012 i profitti sono arrivati al 14,2% del reddito (il livello più alto dal 1950) mentre la quota andata al lavoro è scesa al 61,7%, il punto più basso da 45 anni.
Massimo Gaggi