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 2013  marzo 08 Venerdì calendario

LE RESPONSABILITÀ STORICHE DELL’ISOLAZIONISMO AMERICANO

La «storia coi se e i ma, non si fa», ma lei ha scritto che è un esercizio utilissimo per capire meglio gli avvenimenti e i processi storici del passato. Che cosa sarebbe successo se il presidente Wilson fosse riuscito nel 1919 a far approvare dal Parlamento Usa il trattato di Versailles e l’entrata degli Usa nella Società delle nazioni? Forse il nuovo assetto europeo scaturito dalla Grande guerra si sarebbe evoluto secondo una dinamica più stabile alla luce di una forte tutela esterna quale poteva essere quella degli Usa?
Alessandro Pedrazzini
a_pedrazzini@libero.it
Caro Pedrazzini, la discussione al Congresso sul Trattato di Versailles coincise con il rapido declino delle condizioni di salute di Woodrow Wilson. Il presidente non poté impegnarsi personalmente nella battaglia e gli umori isolazionisti, particolarmente forti nel partito repubblicano, finirono per prevalere. Ma non sono certo che la ratifica americana del trattato avrebbe modificato sostanzialmente il quadro internazionale. L’America avrebbe aderito alla Società delle nazioni e sarebbe stata costretta a prendere partito sulle materie dibattute a Ginevra. Ma quale fu la reale influenza della Società nel periodo fra le due guerre? Ebbe un certo ruolo per le sanzioni contro l’Italia al momento della guerra d’Etiopia. Ma non poté impedire i molti strappi ai trattati internazionali commessi in quegli anni, dall’annessione giapponese della Manciuria nel 1931 all’aggressione tedesca contro la Polonia nel 1939 e a quella dell’Unione Sovietica contro la Finlandia nello stesso anno. Quando scoppiò la Seconda guerra mondiale la Società della nazioni era già sprofondata da un pezzo in una sorta di letargo. Ginevra non fu mai il luogo dove i problemi del mondo venivano concretamente affrontati. Il potere rimase sempre nelle grandi capitali.
Forse le cose sarebbero andate diversamente se gli Stati Uniti avessero accettato di lasciarsi coinvolgere nelle maggiori vicende europee e mondiali. Ma questo accadde soltanto quando avevano uno specifico interesse nazionale da tutelare: il problema dei debiti tedeschi, il livello delle flotte delle maggiori potenze, i rapporti con il Giappone. In molti altri casi si comportarono come una grande Svizzera. Molti americani sapevano che una guerra in Europa avrebbe finito per coinvolgerli e che il rischio esigeva una maggiore partecipazione agli avvenimenti mondiali. Vi sarebbe stata una guerra nel 1939 se l’America avesse sottoscritto il Trattato di Locarno del 1925? Vi sarebbe stata una guerra se il presidente Roosevelt avesse annunciato al mondo che il suo Paese, nell’eventualità di un conflitto, si sarebbe schierato a fianco della Gran Bretagna e della Francia? Ma la Casa Bianca sapeva che ogni intervento americano nella politica europea sarebbe stato considerato un tradimento della filosofia politica degli Stati Uniti, una pericolosa deviazione dai principi contenuti nel messaggio di George Washington alla nazione dopo la fine della sua presidenza. Il primo presidente americano disse tra l’altro (traduco a braccio) che gli Stati Uniti dovevano sviluppare i loro rapporti commerciali con l’estero, ma limitarsi ad avere con gli Stati stranieri il minor numero possibile di legami politici. E aggiunse che l’Europa aveva interessi a cui l’America era del tutto estranea e che non sarebbe stato saggio coinvolgere il Paese in «vincoli artificiali» di cui sarebbe stato pericolosamente prigioniero. Non sorprende che il presidente Roosevelt, pur schierandosi apertamente a fianco della Gran Bretagna, abbia potuto intervenire in guerra soltanto dopo l’attacco giapponese di Pearl Harbor nel dicembre del 1941.
Sergio Romano