Guido Santevecchi, Corriere della Sera 08/03/2013, 8 marzo 2013
LA CARICA DEI MILIONARI AL PARLAMENTO CINESE —
«Sotto la guida del compagno segretario generale Xi Jinping, uniamoci e lavoriamo duro per finire di costruire una società moderatamente prospera e ottenere il grande ringiovanimento della nazione cinese». Pronunciato questo slogan, il primo ministro uscente Wen Jiabao si è inchinato tre volte ai 2.987 deputati del Congresso nazionale del Popolo e ha passato le consegne alla «quinta generazione» di leader della Repubblica popolare cinese, che governeranno per i prossimi dieci anni.
Xi Jinping non parlerà dalla tribuna in questa sessione dell’assemblea legislativa che ne ratificherà l’ultimo stadio dell’ascesa al vertice: la nomina a capo dello Stato. Il rituale non lo prevede. Ma il nuovo timoniere ha già fatto conoscere le sue prime disposizioni: ritorno alla frugalità, basta con la stravagante esibizione della ricchezza, crescita economica meno tumultuosa per ridurre il divario nella distribuzione del reddito «perché per moltissimi cinesi la vita è ancora troppo dura».
Così, quest’anno, i delegati del Congresso che salgono la scalinata del Grande Palazzo del Popolo sulla Tienanmen non possono più sfoggiare orologi di marca e vestiti griffati; banditi anche i lunghissimi pranzi ufficiali con aragoste, pinna di pescecane e liquore che allietavano le loro giornate pechinesi: ci si nutre in sobri buffet. Si dice che per far passare la sua campagna moralizzatrice Xi si stia appoggiando all’esercito: per questo, mentre l’obiettivo di crescita del Pil per il 2013 è stato fissato al 7,5% (il più «basso» dal 1990), il bilancio delle forze armate crescerà ancora del 10,7%.
Ma forse il segretario Xi più che da generali e colonnelli (ce ne sono 268 nell’assemblea legislativa) e dalla sterminata burocrazia del partito, deve guardarsi da una pattuglia di 90 uomini che non hanno bisogno di indossare orologi d’oro sulla Tienanmen per far sapere di contare. Questi 90 sono i deputati del popolo che figurano nella lista dei mille cinesi più ricchi. E il loro numero nel Congresso è in costante crescita: erano 75 l’anno scorso. Il più povero di questi politici del socialismo di mercato ha un patrimonio di 225 milioni di euro, la media è 846 milioni, ma ci sono molti multimiliardari: secondo l’agenzia Bloomberg, che ha elaborato i dati, sono questi capital-comunisti l’ostacolo più insidioso alle riforme del nuovo leader Xi.
A questo fronte dei ricchi la ricetta moralizzatrice non piace, l’idea di tagliare il divario dei redditi fa venire i brividi. Sommando il contenuto dei portafogli dei 90 industriali-deputati si raggiungono i 637 miliardi di yuan, pari a 80 miliardi di euro. E non cercano il profilo politico basso. Per esempio c’è tra di loro Zong Qinghou, 67 anni, presidente dell’Hangzhou Wahaha Group che produce bevande e vestiario per bambini (Wa ha ha vuol dire bambino che ride). Zong secondo Bloomberg ha un patrimonio di 13 miliardi di euro, è l’uomo più ricco della Cina. E in una bella intervista sulla scalinata del Grande Palazzo del Popolo, l’altro giorno il compagno Zong si è detto fermamente contrario all’imposizione di patrimoniali o tasse sulle case. Quanto ai piani del Politburo per ridurre il gap nei redditi, ha assicurato: «L’economia cinese continuerà a svilupparsi così rapidamente che il numero dei ricchi aumenterà». Quindi, inutile rallentare la marcia per aspettare i più deboli.
Al compagno-deputato Liu Yonghao, magnate della distribuzione di polli, anatre e volatili vari è stato chiesto se con i suoi 3 miliardi non si trovi fuori posto nel tempio del comunismo (pur se di mercato). «No, è normale che tra i delegati ci siano businessmen come me, ci siamo fatti largo con i nostri sforzi». Pony Ma, fortuna da 7 miliardi, cofondatore del social network Tencent Holdings, ha replicato così alla domanda se non trovasse troppi 90 miliardari nell’assemblea comunista. Risposta: «Al contrario, siamo solo una minoranza». Una minoranza che potrebbe rappresentare una grande muraglia.
Guido Santevecchi