Francesco Sforza, La Stampa 8/3/2013, 8 marzo 2013
L’INVASIONE DEI VERDI TRENT’ ANNI FA TSUNAMI AL BUNDESTAG
Trent’anni fa, il 6 marzo 1983, entrava per la prima volta nel Parlamento tedesco, allora solo Occidentale, con capitale a Bonn, il movimento dei Verdi. Ventisette eletti, quasi tutti giovani: una piccola «invasione», con qualche similitudine con l’attuale boom dei grillini. Si è discusso a lungo sul colore di quel maglione: «Viola chiaro», si disse allora. «No, lavanda», precisa oggi Marieluise Beck, una delle protagoniste della conquista dei Verdi tedeschi al Bundestag, esattamente trent’anni fa. Il 6 marzo 1983 più di due milioni di cittadini della Repubblica Federale avevano dato il loro voto ai «Gruene», riuscendo a portarne 27 al Parlamento di Bonn. Il prossimo 15 marzo, a Roma, i parlamentari del Movimento Cinque Stelle che entreranno a Palazzo Chigi saranno invece 163, e ci si chiede se sarà rivoluzione, come fu in quel marzo tedesco.
Per il loro primo giorno in Parlamento, i Verdi arrivarono in aula accompagnati da un corteo spontaneo di circa duecento persone: lanciavano fiori, cantavano canzoni libertarie, si baciavano e si tenevano per mano. Avevano capelli lunghi fino alle spalle, e barbe e baffi che riempivano le facce. In testa al corteo c’era Otto Schily, avvocato degli esponenti della Raf e poi passato all’Spd fino a diventare ministro degli Interni del governo Schroeder. C’era Joschka Fischer, che proveniva dall’ala «spontaneista» di Francoforte e sarebbe diventato molto di più che il leader del movimento (partito mai, si facevano chiamare movimento). C’era una bellissima e sorridente Petra Kelly, l’anima perduta dei Verdi, la ragazza che aveva studiato in America e da lì aveva portato il patrimonio ecologista, la battaglia sui diritti, quei discorsi sull’uguaglianza tra uomini e donne, etero, gay o lesbiche non importa. Lei sarebbe potuta diventare tutto - ne sono convinti ancora oggi i suoi ex compagni di strada - ma la sua vita fu spezzata nel sonno dall’amatissimo convivente, Gert Bastian, quasi 25 anni più anziano di lei, che dopo averla uccisa con un colpo di pistola si uccise a sua volta, mettendo così la parola fine - era il 1992 - su una biografia politica che prometteva tantissimo (resta un libro struggente, «Amore mortale», firmato l’anno dopo dalla celebre femminista Alice Schwarzer).
E comunque il dettaglio del colore del maglione non era irrilevante. Perché mezza Germania, di fronte alle immagini del telegiornale che riprendeva quella prima seduta parlamentare nel marzo di trent’anni fa, si chiedeva chi fosse quella ragazza che osava presentarsi vestita così davanti al cancelliere Helmut Kohl in persona, con le mani piene di fiori e rami strappati di alberi di Natale. «Vede, sono corrosi dalle piogge acide», diceva mostrando gli sterpi a un Kohl sorpreso che non riusciva a nascondere il sorriso. «Ma vedrà, ora tutto sta per cambiare». Ridevano fra i banchi, dove avevano sistemato vasi di tulipani e ogni tanto ci appoggiavano pure i piedi. Giurarono sulla Costituzione in scarpe da ginnastica e maglioni sformati, in seguito a una campagna elettorale che aveva stravolto le abitudini dei tedeschi dopo 25 anni di potere ininterrotto di Cdu, Spd e Fdp: nelle piazze a urlare contro l’energia atomica, in strada a farsi portare via dalla polizia dopo lunghi sit in di protesta per i diritti delle minoranze, persino in televisione, con piccoli e studiatissimi spot. «Nonno, i pesci sono morti», diceva in uno di questi una ragazzina bionda con i capelli tenuti da un cerchietto, «L’industria ha avvelenato l’acqua del Reno», le rispondeva autorevole il vecchio signore. «Chi te l’ha detto nonno?», «I Verdi».
Quelle parole d’ordine non devono suonare estranee alle orecchie dei contemporanei: trasparenza nelle decisioni, democrazia diretta, collegialità, rotazione dei funzionari e degli eletti, ambiente e diritti prima di tutto. «Lavoravamo insieme in un’unica stanza - ricorda ancora Marieluise Beck e affidammo uno dei primi discorsi al Parlamento a Waltraud Rotter, che si scagliò come una furia contro il sessismo nelle istituzioni, Parlamento compreso, lasciando tutti di gelo». Per non parlare delle nottate trascorse a pensare chi avrebbe potuto fare il ministro della Difesa o dell’Ambiente: «Si trattava di salvare il mondo, niente di meno di questo».
Poi il mondo è andato avanti però, tanto che qualche anno dopo furono proprio i Verdi ad autorizzare l’intervento in Kosovo, e successivamente quello in Afghanistan. «Fischer è stato il primo a tradire lo spirito del movimento - ricorda oggi Jutta Ditfurth, fondatrice dei Verdi e fuoriuscita negli anni Novanta per disaccordi con la dirigenza -. Da movimento pacifista ci ha trasformati in un partito borghese, tale e quale agli altri». «Molte cose però sono entrate nella politica tedesca grazie a noi - aggiunge Hans Christian Stroebele, ancora oggi parlamentare verde - La sensibilità per l’ambiente è diventata una realtà nella Germania contemporanea, così come siamo stati determinanti per l’uscita dal nucleare e nell’equiparazione dei diritti degli omosessuali. Abbiamo una donna alla Cancelleria e persino nella Cdu i sindaci gay fanno outing senza venire discriminati». Oggi nessuno è più in grado di distinguere dall’abbigliamento un parlamentare verde da uno di un altro partito. «Ma è così importante?», si chiede Beck, quella del maglione viola chiaro, anzi lavanda.