Stefano Caviglia; Carlo Puca, Panorama 7/3/2013, 7 marzo 2013
L’ILLUSIONISTA
[Beppe Grillo]
Valga per tutti i tweet del creativo Pietro Brunetti: «È bello stare in un paese dove tutti si chiedono il mattino dopo “ ma chi c… ho votato”, un po’ come rimorchiare da sbronzi in discoteca». Un vaffa in piena regola, insomma, rivolto a Beppe Grillo e persino educato rispetto alle decine di migliaia di critiche affollanti i social network e replicanti le ansie italiane sul Movimento 5 stelle. Una novità assoluta, le critiche di massa online: il test più allarmante per chi su internet ha scommesso tutto. E anche di più.
L’Italia s’è desta, insomma. O perlomeno sembra svegliarsi dal sonno che genera mostri politici. Il 3 e 4 marzo la visione in diretta streaming della tragicomica riunione dei cittadini-eletti, altrimenti definita «l’X Factor dei parlamentari a 5 stelle», ha fatto impallidire la parte più debole del grillismo, i suoi cittadini-elettori. Purtroppo per loro, è soltanto l’inizio.
Se è vero, infatti, che la parte di programma elettorale limitata ai costi della politica è, senza giri di parole, perfetta e attuabile in tempo reale, il resto delle proposte del M5s pare un libro dei sogni. O, meglio, degli incubi. Il fatto è che in campagna elettorale i numeri non contano niente. L’elettore medio ragiona su altri criteri: la simpatia, il fascino, la capacità di far sognare per sfogare rancore, rabbia e paure. Alla vigilia del voto Beppe «il Politicomico» ha interpretato benissimo il ruolo. Solo che ha vinto troppo e ora gli toccherebbe in teoria rispondere alle aspettative di chi lo ha scelto, accettando l’invito a governare. Ma Grillo può soltanto arretrare davanti a proposte che qualunque ragioniere può smontare in cinque minuti e con due calcoli.
Guardare per credere le tabelle pubblicate in queste pagine: certificano l’assurdo. Per dire: la riduzione dell’orario di lavoro da 37 a 20 ore settimanali costerebbe, a spanne, 162 miliardi di euro, mentre il reddito di cittadinanza, concesso a tutte le persone inattive, dovrebbe essere finanziato con oltre 170 miliardi. E la cura per il debito pubblico? Sta nel rinvio dei pagamenti e nella modifica unilaterale (ossia non concordata con i creditori) dei tassi di interesse: è qualcosa di molto simile al default, il fallimento. La stessa semplicità di soluzione viene riservata all’Irap, la tassa più odiata dai piccoli imprenditori. Non piace? Nessun problema, si toglie e tanti saluti alla copertura economica. In sostanza, è audace definire programma un insieme di cose che costerebbero agli italiani centinaia di miliardi di euro. È piuttosto una cortina fumogena a uso dei creduloni. Roba da interdizione per manifesta incapacità.
Anche per questo Grillo fugge davanti alle domande dei giornalisti italiani, facendo addirittura peggio dei politicanti di professione. Ora il suo unico scopo è quello di logorare i pochi che prendono sul serio certe stravaganze, a partire da Bersani, alias «lo Smacchiatore». Ma, salvo colpi di scena inimmaginabili, il segretario del Pd non verrà certo salvato da vertici istituzionali, cenacoli carbonari e direzioni nazionali, come quella celebrata il 6 marzo.
Dopo l’opa politica lanciata da Grillo sul suo partito, il destino dello Smacchiatore appare segnato. Lo certificano anzitutto i sondaggi, come quello ancora riservato della Euromedia research, secondo il quale, con Bersani ancora candidato premier, una eventuale prossima competizione elettorale vedrebbe protagonisti da un lato Grillo (nonostante le crepe suddette) e dall’altro Silvio Berlusconi (nonostante le inchieste giudiziarie), che nel gradimento avrebbe già superato Bersani di molti punti. Ma lo dice soprattutto la realtà: Bersani ha perso la sua occasione per prendersi Palazzo Chigi. Ciononostante, pur di sbarrare la strada al suo successore-candidato Matteo Renzi, Bersani tenterà comunque di mettere in piedi un traballante governo di minoranza con l’appoggio esterno di Grillo. Un’ipotesi, questa, indigesta a Renzi, che con il Politicomico nulla ha da spartire e corre invece parallelo verso altri lidi (vedi le sue personali consultazioni, martedì 5 marzo a Palazzo Chigi, con Mario Monti).
Ancora di più contano le contrarietà sia di Giorgio Napolitano sia dello stesso Grillo: il presidente della Repubblica pretende un governo stabile, altro che di minoranza; il leader di M5s, pur di restare all’opposizione (e continuare a succhiare sangue e voti al Partito democratico), punta tutto sulle larghe intese tra Pd e Pdl. Tra l’altro, il capo dello Stato, potendo, affiderebbe da subito la pratica governativa a Renzi, considerato non ostile da Berlusconi e dal centrodestra. Il problema è che più di metà del gruppo parlamentare democratico, fedele allo Smacchiatore, minerebbe quotidianamente la solidità di un governo siffatto.
Un vicolo cieco, dunque, che Napolitano cercherà di superare con una soluzione tecnica, simil Monti, ma con un soggetto meno arrogante e più disponibile a politiche di crescita economica, oltre che di rigore, teoricamente accettabile anche da Grillo. I nomi che circolano: Fabrizio Barca, Ignazio Visco, Stefano Rodotà, la favorita Anna Maria Cancellieri e (meno probabile) Corrado Passera. Nelle ultime ore Napolitano starebbe comunque valutando altri potenziali presidenti del Consiglio da proporre alle forze politiche, non tecnici bensì istituzionali ai livelli più alti.
Per quanto risulta a Panorama, ambienti del Quirinale avrebbero infatti suggerito al capo dello Stato di prendere in considerazione i vari presidenti succedutisi negli ultimi anni alla guida della Corte costituzionale. Solo che la lista è stata immediatamente sfoltita per le condizioni di salute, non eccellenti, di alcuni. Poi si è diradata per le appartenenze politiche più o meno dichiarate di altri. Infine si è consumata per l’esclusione, per causa di forza maggiore, di Ugo de Siervo, presidente della Consulta che decise sul caso Napolitano-Procura di Palermo relativo alle intercettazioni per l’inchiesta sulla presunta trattativa Stato-mafia.
Alla fine l’unico nome spendibile sarebbe quello di Franco Gallo, attuale presidente della Corte costituzionale, che avrebbe una qualità ulteriore: si intende di economia, al punto da essere stato, tra il 1993 e il 1994, ministro delle Finanze nel governo tecnico (ed efficace) di Carlo Azeglio Ciampi. Non a caso, in mezzo a tanti pontieri fasulli, l’unico a cui Napolitano avrebbe davvero chiesto una mano sarebbe proprio Ciampi. Il coinvolgimento di una alta personalità di quasi 93 anni d’età può sembrare una follia, ma c’è una spiegazione: la simpatia reciproca tra Grillo e lo stesso Ciampi.
Corre infatti il luglio del 1997 quando il comico attacca l’allora ministro del Tesoro in uno spettacolo. Ciampi scrive allora a Grillo, che gli telefona e fa sparire le battute su di lui. Non solo, il 3 agosto 2002 il presidente Ciampi e Grillo si incontrano, con relative signore, alla Maddalena, in Sardegna. I quattro si appartano e parlano fitto. Grillo dichiara ammirato: «Che donna, la signora Franca. Mi fa: “Siete rimasti in due i coraggiosi, lei e mio marito”. Sì, ci ha dato dei coraggiosi, due moschettieri». Il presidente, aggiunge Grillo, «mette coraggio. E poi è un po’ come me». Un tuffo assieme fa il resto. La loro conversazione, seppur saltuaria, non si è più fermata. Vedremo se a Ciampi riuscirà la mediazione. Per evitare di fare affondare l’Italia. Anzi, di vaff…ondarla.