Marcello Sorgi, La Stampa 8/3/2013, 8 marzo 2013
UN MACIGNO SULLE TRATTATIVE PER IL GOVERNO
Accolta da Berlusconi e dal Pdl quasi come un colpo di Stato, la condanna del leader del centrodestra, per rivelazione di segreto d’ufficio della famosa intercettazione di Fassino («Abbiamo una banca») sulla scalata Unipol alla Bnl, è solo la prima di una serie che in tempi assai brevi dovrebbe abbattersi sulla testa dell’imputato più eccellente d’Italia. E di una tempesta giudiziaria, che condizionerà non poco la ricerca di un minimo equilibrio dopo il controverso risultato del voto e la possibilità che in tempi brevi il Paese debba tornare alle urne.
Non solo per la grandinata di sentenze attese da Berlusconi. Ma anche e soprattutto per la grande manifestazione di piazza che sta organizzando e che, seppure con un florilegio di parole d’ordine dedicate alla crisi economica e alla battaglia anti-fisco, ha in realtà come obiettivo principale la messa sotto accusa della magistratura «politicizzata», definita di recente dal Cavaliere addirittura «un cancro». Sarà questo, più delle ulteriori e assai probabili condanne che l’imputato si aspetta, a rendere il centrodestra, se non proprio inutilizzabile, molto, ma molto difficilmente coinvolgibile in qualsiasi tentativo di trovare un assetto parlamentare per il governo che Napolitano dovrebbe cercare di formare, dopo l’annunciato, e per molti versi scontato, fallimento del tentativo di Bersani di costruire un’intesa con Grillo o almeno con una parte del suo movimento.
L’innesto di una crisi istituzionale visto che il Capo dello Stato non potrà consentire l’attacco indiscriminato alla magistratura nel suo complesso - in quella politica già in corso, e vieppiù complicata dai risultati elettorali, renderà praticamente impossibile la quadratura di un cerchio già di per sè azzardata. Rafforzando la pregiudiziale del Pd a ogni e qualsivoglia forma d’intesa con un Berlusconi che, una tegola dopo l’altra, potrebbe presto ritrovarsi giudicato colpevole di esercizio della prostituzione; condannato, anche se in primo grado, all’inibizione dai pubblici uffici oltre che al carcere; e confermato, in appello, nella sentenza che gli ha già inflitto quattro anni per l’evasione fiscale dei diritti cinematografici della Fininvest. Tutto ciò mentre la procura di Napoli indaga sulla corruzione, con tre milioni di euro, confessata dal senatore De Gregorio ai tempi del governo Prodi, e su un’analoga ipotesi di reato per il passaggio dall’opposizione dei deputati Razzi e Scilipoti, i cosiddetti «responsabili» di uno dei più clamorosi episodi di salvataggio dell’ultimo governo Berlusconi. Un’inchiesta, sia detto per inciso, in cui in coincidenza delle resistenze del Cavaliere s’è già avvertito tintinnìo di manette, rivolto tra l’altro a un Parlamento in cui per la prima volta l’eventuale richiesta di arresto del leader del centrodestra potrebbe contare su una maggioranza.
Ce n’è abbastanza per considerare purtroppo realistica l’ipotesi di un nuovo scioglimento delle Camere, fino a ieri evocata come un disastro da evitare, perché rischierebbe di portare l’Italia in condizioni simili a quelle della Grecia. Berlusconi infatti spera ancora di trovare un accordo con il Pd. Ma Bersani non lo vuole perché cerca a sua volta un’impossibile intesa con Grillo (che il leader del Movimento 5 Stelle a sua volta esclude), e perché spera - inutilmente finora - che il centrodestra, o almeno una sua parte, abbandoni Berlusconi al suo destino. Il risultato di questo carosello di incomunicabilità e la somma di questi anomali fattori ci porteranno quasi certamente a nuove elezioni. Ma non elezioni qualsiasi: stavolta infatti, molto più di altre, l’Italia rischia davvero di andare a rompersi l’osso del collo.